Non servirà a nulla, però ci provo


Non servirà a nulla, però ci provo

Dicembre 2021, e sono trascorsi otto anni da quando ho aperto questo blog.

All’inizio scrivevo molti articoli, anche due ogni settimana. Gli argomenti che vorrei trattare sono ancora molti, ma non diventano articoli. Nel 2021 ne ho pubblicati solo tre.

Da quando ho pubblicato i libri di racconti e poesie si è ridotta la quantità di articoli nel blog.

I visitatori sono saliti nel primo triennio da zero a oltre tremila e poi il numero si è mantenuto intorno ai quattromila nel quinquennio successivo.

In quest’ultimo anno sono stati poco più di duemila, ma con soli tre articoli, è anche troppo.

Sembra che i lettori gradiscano certi articoli relativi alle ricette di cucina, racconti, appunti di viaggi.

I miei recenti interessi mi portano a scrivere il quarto articolo di quest’anno, ancora una volta sull’ambiente.

Quest’anno si è celebrata la Cop26. A Glascow c’erano giovani provenienti da ogni paese del mondo, purtroppo i potenti della terra non hanno manifestato la benché minima intenzione a cambiare le prospettive e modalità di crescita nonostante l’infuriare della pandemia da quasi due anni.

Ogni anno si ripete il tentativo fallimentare di ripristinare la biodiversità nel pianeta terra a com’era prima della industrializzazione.

Sembra strano, ma la soluzione potrebbe essere nella resilienza.

Pensare globalmente, agire localmente.

Ognuno nel suo terreno può sfruttare il potere rigenerativo della terra.

Facciamoci aiutare dalle piante.

Le piante in modo del tutto naturale possono immettere carbonio nel terreno e alimentare il ciclo che ha permesso il mantenimento della crosta terrestre viva e non inaridita come le superfici arate.

I proprietari terrieri devono interessarsi dei terreni affidati in gestione agli agricoltori, in modo particolare quando questi utilizzano arature profonde sui terreni.

Da oltre 70 anni sappiamo che le monoculture hanno effetti devastanti sui terreni, ma si continua a coltivare con questo metodo.

Almeno venti civiltà si sono estinte per l’eccesso di sfruttamento dei terreni.

Uno degli esempi più antichi è stato quello dell’altopiano del Loess in Cina. Anticamente era una regione fertile; ha ospitato la nascita di una delle prime civiltà cinesi. Secoli di pascolo eccessivo, deforestazione e agricoltura di sussistenza l’hanno resa una delle aree più degradate dell’intera Cina, ormai famosa per le ricorrenti inondazioni e carestie. L’utilizzo inconsapevole del suolo ha portato a impoverimento e degrado della terra e di conseguenza della società.

Un suolo povero che necessita di concimi chimici, pesticidi, impoverisce chi ci vive sopra.

Per avere cura della salute del suolo occorre attivare la rigenerazione ecologica.

Le condizioni per l’attivazione della rigenerazione sono:

minimo disturbo meccanico, diversità, radici vive in ogni momento, piante perenni e alberi, uso di animali.

A tal proposito c’è un film documentario su Netflix che spiega questa metodologia:

https://www.netflix.com/it/title/81321999 Kiss the ground – 2020

Trovo strano che queste chicche di documentari provengano dallo stesso luogo che genera le peggiori distruzioni ambientali del nostro pianeta.

Altrettanto strano è che in Europa si proceda effettuando gli stessi errori statunitensi senza nemmeno cercare di comprenderli.

La giusta motivazione: “aiuto un amico a raccogliere le olive”.


La giusta motivazione: “aiuto un amico a raccogliere le olive”.

Ci sono situazioni che si capiscono solo quando ti coinvolgono.

Questa la voglio raccontare perché, potrebbe succedere a chiunque, prima o poi.

Non so se avete amici con i quali vi è capitato di avere uno scambio di favori: prestare una attrezzatura o risolvere problematiche al cellulare o al computer, non si chiede niente in cambio c’è solo il piacere di aiutarsi a vicenda.

Ho passato gran parte della mia vita lavorativa in ufficio e forse sarà per questo che amo molto vivere all’aria aperta.

Con il bel tempo di recente sono andato a cercare funghi nel bosco e qualche volta a cogliere le olive da un amico, fuori comune.

A causa del Covid siamo in “zona rossa” e aiutare a raccogliere le olive fuori comune, non si può.

Si rischia la multa.

Il mio amico ha un numero esiguo di olivi, spesso coglie le olive da solo, non può certo assumere personale a causa dei rilevanti costi delle pratiche di assunzione, contributi ecc.

Il suo olio è di buona qualità e in passato mi sono offerto per dargli un aiuto, solo qualche giornata di lavoro, che poi si riducono a poche ore di lavoro in buona compagnia.

In zona rossa si potranno effettuare solo spostamenti giustificati da urgenti necessità, per salute o per lavoro, i soli motivi validi.

Nel calcolo del PIL, fino a qualche tempo fa, andare a lavorare da un amico veniva considerato lavoro sommerso o lavoro nero e pertanto non conteggiato.

Da qualche anno si prova a valutarlo e questo fa comodo a economisti e politici per affermare che in Italia circa 200 miliardi di lavoro sommerso corrispondono ad oltre 11% del PIL (fonte ISTAT 2018).

Ricordiamoci che non ce l’ha ordinato il dottore di mantenere tassi di crescita al 3% si tratta di un ben noto suggerimento della Commissione europea strettamente collegato al nostro enorme deficit e quest’anno avremo una crescita negativa.

Ma cosa significa crescita negativa?

Non ho mai visto piante crescere verso la profondità del terreno. È una contraddizione, per non ammettere che siamo in decrescita.

E pensare che abbiamo anche una teoria che fa riferimento alla “decrescita felice” più spesso contestata.

Nel mio paese nel primo periodo di lockdown sono stati tenuti chiusi gli orti sociali per oltre due mesi con motivazioni poco comprensibili. Voglio ricordare che leggi e regolamenti devono essere giuste e scritte bene, comprensibili, non devono colpire i più “deboli”, ma soprattutto vanno applicate, altrimenti meglio non perdere tempo a scriverle.

Mi capita spesso di ascoltare politici impegnati che auspicano l’apertura di nuove imprese, ma forse in questo momento andrebbero ad allungare la fila dei fallimenti. Solo una esigua minoranza parla di resilienza, decrescita e non sento parlare di un “piano B”.

Se la situazione dovesse peggiorare e dovessero mancare i soldi del recovery fund, come contrastare la pandemia e fermare la scia di morti?

Allora come non permettere e regolare quel lavoro sommerso e sostenere piccole attività di autosufficienza e come nel mio caso andare a trascorrere una giornata all’aria aperta come se fosse una dose di immunoterapia gratuita.

Ecco che sulle motivazioni dell’autocertificazione ci vorrei poter scrivere: ” vado ad aiutare un amico, lavoro solo qualche ora, per motivi di salute, ma solo per mantenerla più a lungo possibile”.

Riflessioni sul coronavirus


Riflessioni sul coronavirus

In questo periodo di coronavirus si sente spesso parlare di “guerra” o di “nemico” come fossimo confinati in una trincea dalla quale è pericoloso alzare la testa.

Nessuno o pochi hanno parlato di accettazione della malattia, sì, perché il coronavirus l’ha contratto una piccola parte della popolazione e molti sono guariti, ma la possibilità di ammalarci potrebbe capitare a tutti. E se capitasse a noi? Abbiamo pensato a come reagire? Abbiamo provato ad immaginarlo?

Nei primi test di coronavirus i tempi di risposta delle analisi erano intorno alle 5 ore, ma in certi casi anche 24 e in questo lasso di tempo i malati nella paura di essere positivi avevano spesso aggravamento fino ad arrivare alla polmonite interstiziale che al momento del test non era presente.

La mente ha un ruolo fondamentale nelle fasi salienti della malattia.

Credo che l’accettazione sia la prima risposta necessaria al corpo e al nostro spirito per poter reagire. È noto che in situazioni di stress e paura, le difese immunitarie calano. È necessario non entrare nel panico.

Mentre siamo tutti confinati nelle proprie abitazioni, occorre utilizzare questo tempo per acquisire nuove conoscenze, ma soprattutto riprendere in mano i valori della socialità, dello stare insieme, fino a decidere di trovare insieme una soluzione.

In questo momento non ci può interessare come si è sviluppato il covid 19.

Pasolini diceva: – credo nella civiltà, non mi piace il progresso, questo progresso.-

Da oltre un secolo la crescita inarrestabile, il benessere e progressi scientifici hanno innalzato la vita media e il numero degli umani sul pianeta.

Come se il progresso avesse fabbricato un enorme jet supersonico; risulta evidente che un aereo è un prodigio della tecnica ed è fatto per volare, se lo tenessimo in un hangar ad arrugginire gli verrebbero procurati solo danni. Prima o poi dovremo impegnarci per farlo volare di nuovo, ma come?

Sto pensando anche a quanti soldi si risparmiano a stare tutti a casa, nessuno si muove da casa, lavora in smart-working, ma la nostra economia non è concepita per stare ferma e finirebbe come il jet supersonico.

Il coronavirus è stato definito “virus ubiquitario” significa in pratica che si trova dappertutto nello stesso tempo, non ce ne potremo liberare tanto velocemente.

Secondo alcuni esperti se si facessero analisi a tappeto a tutta la popolazione si potrebbero riscontrare dal 50% all’80% di positivi al virus.

Cercherò di andare oltre agli aspetti scientifici dei quali non sono esperto.

Quello che sembra voler provocare i coronavirus è il rallentamento dell’economia.

Nessuno riesce a fare previsioni su quanto durerà questo catastrofe.

Si possono fare solo confronti con le pandemie precedenti come la peste nera o la spagnola.

Questa volta non si tratta di una crisi finanziaria come quella del 1929 o del 2008, questa volta l’origine è la natura, la stessa alla quale apparteniamo.

Proprio mentre siamo a casa possiamo pensare a quando tutto questo finirà e immaginare come potrebbe essere un nuovo e diverso sviluppo mondiale. Forse allora molti comprenderanno il valore dei messaggi di Greta Thumberg, degli Extinction Rebellion e di altri numerosi gruppi con obiettivo la protezione e difesa dell’ambiente, dell’umanità intera, nati recentemente e ci saranno forse speranze per i Verdi di poter portare la loro voce nei luoghi dove si scrivono da sempre le regole della nostra comunità.

NEBBIA


rotolino-per-macc-fotograficaNEBBIA

Un giorno di ferie e anche la giornata giusta per fotografare la nebbia.
Due cose insieme non capitano spesso, quindi, colazione veloce, un controllo sommario alla borsa della macchina fotografica e obiettivi, parto per l’avventura con la reflex Pentax semi-automatica, con rotolino da diapositive 100 Iso.
Sono il principiante pronto per una nuova esperienza, decido di farla, spero mi servirà.
L’idea è di confrontare le foto con altri amici del gruppo fotografico, sono già curioso di sapere se gli altri hanno fatto le fotografie alle nebbie, e mi immagino già il venerdì sera, l’incontro settimanale per mostrare ognuno le proprie dia con il video proiettore.
Sono emozionato, la prima volta che fotografi qualcosa di nuovo, ci vai baldanzoso, con l’entusiasmo dell’apprendista e l’esperienza del professionista. Mi sento una via di mezzo, un aspirante fotografo alla ricerca di qualcosa di particolare, magari un book fotografico.
L’emozione può fare brutti scherzi.
Appena uscito di casa la nebbia mi avvolge, non la posso toccare, ci sono dentro come in una pentola, ma non vedo il coperchio, solo vapore grigio. Dopo poche centinaia di metri da casa, con l’auto percorro la strada vicino al fiume; ha sempre i lampioni accesi, anche se sono le nove della mattina. L’interruttore crepuscolare dell’impianto comunale di illuminazione non è guasto, solo pensa sia ancora notte, il sole non è riuscito a mostrarsi.
Sul vetro dell’auto migliaia di microscopiche goccioline si mescolano fino a formare gocce grandi, sembra pioggia, ma è solo umidità.
Uscito dal paese, la strada inizia a salire verso la collina, ecco, sono uscito dalla nebbia e posso vederla dall’alto.
Il sole mi batte negli occhi, si è appena affacciato tra due grandi nuvole.
Le nebbie sono a livello più basso, nelle vallate, tra le colline verdi di bosco ceduo.
Il paese dove abito ha ancora le case immerse nella nebbia.
Fermo l’auto dopo due tornanti, il panorama è suggestivo, da ogni parte le colline formano un girotondo di curve, le nebbie permangono ancora nel fondovalle, sembrano grossi batuffoli lattiginosi sospesi nell’aria.
Posso immortalare le nebbie con lo scatto della reflex, impacchetto le immagini fuggevoli di vapore acqueo, mi immagino la presentazione delle dia del mio primo book fotografico, penso che questo tipo di foto è già stata fatta da altri fotografi esperti, ma forse nessuno ha trovato come me le stesse occasioni di luminosità, o il panorama.
Penso che quelle forme di nuvole di nebbie le ho viste solo io, e c’era una luminosità perfetta per fotografarle, che ho avuto una gran fortuna avere questa giornata a disposizione. Un sorriso beffardo mi fa sentire un novello Robert-Bresson.
C’è sempre qualcosa che differenzia un artista da un altro. Il vero esperto non è mai sicuro di nulla, non si fida nemmeno di sé stesso. Certe cose le capisci solo dopo.
Quello che ti frega, è quando ti senti troppo sicuro, la troppa sicurezza ti inchioda.
Pensi che quel gesto lo hai fatto decine di volte, anche quella mattina, sei sicuro, e invece pensavi di averlo compiuto, ma non l’hai fatto davvero, e dopo te ne accorgi, dopo.
Non hai messo il rotolino !

LA FAME


malnutrition

 

LA FAME

La pastasciutta era fumante in tavola, televisione accesa con la prova del cuoco, la famiglia riunita ci apprestavamo a mangiare insieme come ogni giorno.

Un giorno come tanti altri, assistetti a un epilogo infelice per il solito ospite, l’irrefrenabile Beppe Bigazzi. Non c’era la Clerici, era un giorno di Febbraio 2010. Beppe inizia argomentando che in Febbraio chi non ha ciccia mangia il gatto, infatti dice lui Febbraio-gattaio.

Nessuno si sarebbe aspettato una ricetta in cui l’ingrediente principale è …”il gatto”.

In modi precisi e dettagliati il dotto conoscitore di alimenti, cibi, ricette, ma anche di vita e cultura italiana spiegò come lui stesso provvedeva a prepararli e cucinarli.

La procedura era di spurgare la carne per diversi giorni nel vicino torrente Ciuffenna e quindi la cottura mi pare arrosto.

Da quella volta non abbiamo più visto Bigazzi alla Rai per diversi anni.

Associazioni animaliste lamentarono e chiesero l’espulsione dell’esperto di cucina dal programma.

Non che il Bigazzi fosse un angioletto, spesso litigava in diretta con cuochi offendendoli anche in malo modo. Con quella operazione è stata soffocata la storia, la cultura che sta dietro ai tegami.

La moderna società ci ha fatto dimenticare i motivi, le ragioni per le quali il Bigazzi avesse introdotto nel menù il gatto, non che dovesse mangiarlo nessuno.

Raccontava solo una storia, vera, ed è seguita con la sua espulsione. Potete rivederla su youtube.  COME SI MANGIA IL GATTO – RICETTA

In novembre dello stesso anno eccoti una legge che punisce anche con la reclusione chi tratta male gli animali domestici. NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Non ho niente contro gli animali domestici, ho il massimo rispetto per chi ha animali, li accudisce ed assiste come persone. Non voglio nemmeno perder tempo a difendere Bigazzi.

Voglio anche però raccontarvi di una avventura occorsa in una vacanza in Sardegna 1998, vicino Cabras, bellissima penisola del Sinis, terra con molti campi coltivati, pianura perfetta.

Avevo portato la mountain byke in vacanza, una mattina partii presto, verso le 7.00, sentii abbaiare, da un campo sbucò un’orda di cani guidati da un enorme pastore maremmano (almeno 20 bestie).

Nelle vicinanze non c’era nessuno per chiedere aiuto, per diversi chilometri nemmeno una casa.

Sudai freddo, sapevo benissimo che se mi agguantavano non avrei avuto scampo, per fortuna avevo il rapporto giusto per lo scatto, per almeno cinquanta metri mi stettero a ruota, poi forse perché non gli interessava più seguirmi, o ero più veloce, mi allontanai dal pericolo. Forse avevano fame, e avrei fatto una brutta fine, la fine del gatto.

In origine se certi italiani mangiavano i gatti spesso succedeva per altri motivi, era per fame, forse gli animalisti non l’hanno mai provata e non hanno avuto nemmeno un’orda di cani dietro come me.

Sembra che nonostante la legge punitiva gli italiani si mangino ancora oltre 7.000 gatti l’anno, quindi…. perché si fanno queste leggi ? Solo per adeguarsi alla comunità europea che ce l’ha chiesto? C’è davvero bisogno delle leggi per rafforzare il rispetto degli animali ?

E’ forse facendo cacciare Bigazzi e non parlando delle nostre origini che si ottiene il rispetto degli animali ? Vi siete mai chiesti quanti uccelli mangia un gatto selvatico ?

OLMO


OLMO DI LANDO Senigallia (AN)

“Olmo” di Lando detto Olmo Bello, Casine di Ostra.
Diametro metri 35 e 110 di circonferenza – altezza metri 28 – circonferenza tronco metri 5,50

Trovare una foto di questo albero non è stato facile, poi un articolo in rete mi ha fatto ricordare meglio e non posso non pubblicarlo !

http://naturaetratio.blogspot.it/2016/10/addio-agli-olmi.html

OLMO

Ne ricordo le forme, due enormi alberi nel piazzale, alla base non si abbracciavano in due persone, uno dritto, l’altro più piccolo, ma più nodoso e pendeva come la torre di Pisa.

Si trattava di olmi, un tipo di albero d’alto fusto molto resistente alle malattie e alle avversità della natura.

I piazzali mezzo secolo fa non erano cementificati come siamo abituati a pensarli adesso.

Qua e là erano cresciuti alberi di pioppo, cercavano di farsi spazio sotto le grandi chiome degli olmi.

Uno di questi aveva una cavità ad un metro di altezza da terra. Noi ragazzi sapevamo che all’interno nascevano i funghi pioppini e se riuscivamo a portarli alle nostre mamme sapevamo di farle felici.

A quasi dieci metri d’altezza del tronco di uno degli olmi, tra i grandi rami si era formato un grosso buco e anche lì, dopo qualche pioggia si depositava l’acqua e ci nascevano i funghi.

Non so come fosse stato scoperto quel buco, e se fosse stato fatto appositamente per farci crescere i funghi.

L’unica cosa che so è che a noi ragazzi proibivano di andare con una scala di ferro a prenderli.

I funghi nascono solo se c’è un micelio, ho scoperto dopo molti anni che per ottenere aree produttive di funghi si devono inoculare miceli dei funghi da coltivare.

Qualcuno del paese sapeva quali erano le tecniche giuste, i segreti necessari; certe informazioni sono adesso conosciute da stimati agronomi, professori universitari, e poche persone comuni conoscono ancora queste operazioni.

Ricordo ancora la giornata di condivisione in una borgata del paese, probabilmente era un giorno festivo, gli uomini delle famiglie vicine si erano resi tutti disponibili, erano in cinque.

Si trattava di attivare una fungaia; il materiale era pronto. L’esperto aveva messo dei rami con micelio vicino ad un grosso tronco di diametro di almeno sessanta centimetri , ed i microrganismi erano penetrati, lo si vedeva dal colore bianco del micelio. Ora c’era da fare un grosso lavoro, si trattava di interrare il tronco, preparare una grossa buca profonda almeno un metro e calarlo dentro, lasciando scoperto una ventina di centimetri di legno. Il tronco veniva poi coperto con una balla di iuta, poi annaffiato e doveva mantenere sempre una certa umidità.

Ogni mese produceva funghi pioppini in quantità. Quando si vedeva alzare la balla voleva dire che sotto c’erano i funghi.

La fungaia produceva funghi per diverso tempo e comunque un peso di funghi non superiore al peso del tronco stesso.

Ognuno degli adulti presenti se fosse vivo adesso saprebbe quale albero scegliere, quando collocarlo in terra, come e quanto annaffiarlo per ottenere una produzione continua di funghi.

Non ricordo quanto fossero buoni quei funghi sott’olio, so che vorrei rifarli, mi piacerebbe poter dire di averli prodotti da solo, a casa mia.

Venti anni fai tornai in quel luogo magico, dove c’erano gli olmi, non trovai nulla, mi dissero che erano morti in poche settimane, sembra che questo sia tipico dell’olmo.

Non c’erano nemmeno i pioppi. Quasi tutti gli abitanti del luogo si erano trasferiti, la ditta dove lavoravano aveva chiuso molti anni prima.

Ci sono ritornato anche l’anno scorso e la cosa è stata ancora più triste. L’avevo visto da google earth. La zona era stata delimitata perché pericolosa, in quanto vicino ad una zona industriale con prodotti chimici tossici. Pensare che ci ho vissuto per anni, e ho mangiato anche i funghi nati proprio lì vicino. Quando vedi le foto nel computer, come nella sala di controllo di un aeroporto, non è come vedere i luoghi dal vivo. Passare oltre la zona proibita, tra rovi, spine, vegetazione alta un metro, ritrovare la casa dove hai abitato, murata a porte e finestre per evitare che frani o che venga abitata da abusivi ; mi ha fatto un certo effetto.

Sono stato lì cinquanta anni fa, sono ancora vivo, e vorrei far crescere i funghi come facevano i vicini di casa e abitanti di quei luoghi.

Ora voglio realizzare quelle cose difficili che non ti riescono mai, e per fortuna trovi un amico che te lo spiega, o un blog su internet, o un video su youtube, qualunque cosa possa essere, se funziona, si mettono in moto delle forze finora mai attivate, e finalmente si sprigiona un grido, viene da dentro : – ma perché non l’ho fatto prima ! –

Questi ricordi di bambino risalgono a quando i pioppi venivano usati per limitare le aree coltivate.

Con l’introduzione di mezzi agricoli sempre più potenti sono stati tolti. Quella dei funghi era una risorsa per utilizzare al meglio i tronchi.

Ho provato diverse volte a ripetere quanto avevo visto eseguire. Non ci sono mai riuscito.

Credo che dovrò organizzare anche un corso per la produzione di funghi !

p.s.  la foto è di un olmo delle Marche, mentre il racconto è ispirato ad un luogo toscano. Purtroppo non sono riuscito a ritrovare foto degli olmi del cortile, erano più piccoli, ma d’estate c’era un bel fresco sotto le loro chiome.

Questo invece è quel che trovai lo scorso anno.

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RECUPERO


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RECUPERO

Ho visitato la fortezza vecchia della città di Livorno, la mia prima visita in quei luoghi.

Prima di quel giorno, non avevo la minima idea di che cosa potesse contenere, altre visite, non per turismo, osservavo la fortezza e non mi sono nemmeno mai chiesto se la si potesse visitare.

Nella salita fino alla rocca ho incrociato una signora, questa stranamente mi ha parlato, e scosso la testa.

Mi ha indicato un cumulo di sassi e iniziato a parlare di quel luogo, molto bello, ma secondo lei lasciato andare.

Sassi vicino alla torre, caduti in un’area delimitata ove è interdetto l’accesso ai visitatori.

Nessun danno alle persone fisiche, ma un segnale di aiuto lanciato da un immobile di antiche origini.

Più i luoghi sono grandi e più hanno difficoltà ad essere mantenuti.

Troppo preso ad osservare il panorama, non li avevo notati.

La signora mi ha raccontato di essere livornese, ma quel giorno anche lei nella sua prima visita si era spinta fino alla rocca.

Altre volte invece aveva visitato i paraggi della fortezza, in occasione di eventi.

Ho fatto un tentativo per capire come mai la signora era così sconsolata per quello stato dei luoghi livornesi. L’esca funziona quasi sempre, una affermazione generica dell’orto del vicino è sempre più bello. Ho fatto l’esempio dei giardini francesi di Versailles, visti da entrambi, e dopo esclamazioni di gioia l’ho ricondotta alla realtà.

Le ho fatto notare le nostre buffe rivalità toscane dei paeselli e capannelli, hanno storie ataviche, risalgono alla notte dei tempi, come quelle tra Pisa e Livorno.

Le ho raccontato di miei incontri con francesi i quali hanno manifestato la loro meraviglia per certe cose che secondo loro noi riusciamo a fare meglio. Infine ho introdotto un diverso punto di vista iniziato a parlare di aspettative, tra quello che abbiamo e quello che vorremmo.

Noi stiamo sempre nel mezzo e non siamo mai contenti.

La signora ha insistito sulla necessità di mantenere i propri luoghi in modo decente.

Le ho spiegato che molte cose possono dipendere anche dai “volumi” ad esempio dal numero dei visitatori di un luogo, e non è solo un problema di denaro.

Se ad esempio alla fortezza vecchia venissero ogni giorno 800 o 1.000 persone di sicuro chi si occupa della manutenzione dei luoghi o chi ne ha la gestione si prenderebbe a cuore la sistemazione degli stessi, quindi la prima cosa dovrebbe essere di acquisire una maggiore consapevolezza di quello che abbiamo.

Ora il punto è chi deve fare cosa.

La ho chiesto se devono intervenire gli amministratori del comune, una fondazione o i cittadini a richiederlo, e non ha saputo rispondermi.

Se non ci sono domande, non ci saranno risposte.

Cosa dobbiamo fare per meritarci luoghi più belli ?

Prima di tutto occorre capire di chi sono. Ci sono anche tanti luoghi privati ove gli stessi proprietari non sono in grado di mantenerli e alla fine crollano insieme al disappunto dei cittadini.

Come quando si suicida un condomino e tutti affermano che non aveva dato nessun segno particolare. Magari lo aveva dato, ma nessuno lo aveva capito.

Una caduta di sassi è un segnale e chissà se qualcuno ne coglierà la portata.

Quando si parla di recupero di luoghi storici l’argomento è spinoso, è più facile nominare un elenco di presunti colpevoli che trovare le soluzioni.

Ancora una volta le soluzioni ce le abbiamo già.

Le persone comuni, quando richiedono una attenzione particolare ai loro luoghi, sono le prime a potersi fare carico di azioni di recupero, non chiaramente andando a mettere mestolate di calcina sui muri della torre, ma cercando anche solo di “vivere” quei luoghi, condividerne sui social alcuni scorci o angoli da valorizzare, o qualsiasi altra cosa utile allo scopo.

Buon lavoro a chi vorrà cimentarsi in questa attività.

GRU


gru

 

 
GRU

Le alte torri metalliche sembravano ghermire gli immobili della città.
Si poteva tentare di contarle, ma erano troppe.
Erano gli anni del boom edilizio.
Se ci fosse stato materiale meno costoso della sabbia, l’avrebbero usato.
Il lavoro c’era per tutti e faceva percepire sicurezza.
Italiani e giapponesi, i grandi risparmiatori (forse perché avevano perso la guerra ?)
I risparmi spesso convogliati verso l’acquisto di case di proprietà alimentavano il mercato immobiliare.
I mostri d’acciaio protesi a convogliare cemento nei posti giusti rappresentavano l’indice di operosità di un territorio.
Se c’erano gru, voleva dire che c’era lavoro e quindi benessere.
Le gru non hanno avuto molti figli.
Mentre crescevano palazzi in ogni direzione le gru sono quasi scomparse.
Un animale in via di estinzione.
Ci pervade un po’ di nostalgia per quei momenti di intense attività immobiliari.
Vorremmo ritornare a quel benessere diffuso.
Come ha potuto il prodotto di quelle gru elargire tanto benessere ?
Cosa ci è rimasto adesso ?
Nessuno nutre ora le poche gru rimaste.
Quei pilastri di metallo non sputeranno più grandi quantità di cemento sul nostro pianeta.
Sono solo riflessioni alla ricerca di crescite alternative, senza ….gru !

Orto nel campo


Sottotitolo: “più frittata per tutti!” Oggi è una giornata speciale: ho raccolto i miei primi 3 kg di zucchine. Mi sento come Paperon de Paperoni quando nel Kloendike scavava con le unghie la sua prima tonnellata d’oro. E ieri è stato altrettanto speciale perchè ho ricevuto l’ispezione dell’amico Roberto Francalanci, maestro di orto e […]

via L’Uomo Del Monte ha detto: “Si!” — joseph pastore maker

INGEGNO 2 parte


mezzina

foto a sinistra scattata con cellulare cinese : mezzina in rame dei primi del novecento, tipica della toscana

doccetta da giardino

immagine dal web a destra : contenitore dotato di pompa manuale contiene circa otto litri di acqua, per uso doccia

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INGEGNO 2 capitolo

Quando si aspettano ospiti in genere si controllano le scorte di buon vino e si prepara qualcosa di buono per fare una bella figura.
L’idea è quella di non arrivare all’evento impreparati.
Immaginate se vi venissero ospiti e magari avete tutte le sedie scollate e non le avete fatte riparare, quando si mette a sedere il vostro migliore amico robusto e si sfracella in terra accanto alla tavola ! Che disastro !
La prevenzione è una attività non molto diffusa.
Se lo fosse non succederebbero tanti disastri.
Oggi mentre apro la cannella del rubinetto penso alla carenza di acqua nel globo e quanto siamo ancora privilegiati nel nostro paese.
Osservo l’acqua che scorre e quanto lavoro c’è dietro, alle aziende di distribuzione, agli impianti idraulici, ai produttori di rubinetterie, alle lamentele degli utenti.
La mente naviga anche ai ricordi di molto tempo quando l’acqua c’era già nelle case, ma la nonna ancora rammentava di quando con tanta fatica andava a prendere l’acqua al pozzo per l’utilizzo domestico.
L’acqua era usata con parsimonia e anche l’introduzione della lavatrice fu dapprima osteggiata e poi accettata.
Le buone abitudini durarono più a lungo.
Mi ricordo in particolare il lavaggio estivo dei capelli.
La mamma si era procurata una stagna di plastica di circa venti litri. Nei mesi estivi la esponeva al sole riempita di acqua.
Nel pomeriggio quando la temperatura esterna aveva riscaldato le mura della case, l’acqua della stagna era alla temperatura giusta per il lavaggio dei capelli, a volte anche troppo calda.
Era come un reset del corpo, con la soddisfazione di sentirsi la testa pulita, i polpastrelli strusciavano i capelli e senza resistenza alcuna si appoggiavano sulla pelle del viso.
Il sole e il venticello del pomeriggio asciugavano le folte capigliature opportunamente pettinate dopo il lavaggio.
La piacevole pratica della cura personale, trovava connubio con un oculato utilizzo delle risorse.
La stagna era sufficiente per due persone.
Nel vano tentativo di rivivere quei momenti di gioventù ho cercato almeno di utilizzarne gli spunti.
Ecco quindi la realizzazione di idee, l’inventiva, la parte nascosta di noi ricacciata in profondità dal comodo, dal facile, dalla moda.
La stagna degli anni ’70 veniva utilizzata svuotandola piano con un piccolo secchiello di plastica, versando l’acqua con l’aiuto di un familiare.
Ora si può fare di meglio, ma non parlo dei vaporizzatori con acqua del rubinetto !
Ci sono diversi modelli di “doccia solare da giardino” .
Eccone uno : una doccia con pompa manuale, contenente 8 lt d’acqua che può essere riscaldata mediante il calore del sole. Corredata di doccetta, grazie all’azione manuale della pompa garantisce il piacere di una doccia vera. Se non volete perdere tempo, ma…siete ostinati del fai da te, avrete da divertirvi e gli sforzi saranno seguiti dalla soddisfazione di poter godere della doccia calda in giardino senza bisogno di scaldare l’acqua.
Ogni volta che vi lavate ci sarà da pompare, perché l’acqua non va all’insù !
Buon lavaggio !