Il mio fallimento


Il mio fallimento

 

Un seme può stare anni silente nella terra, poi si verificano le condizioni giuste di temperatura e umidità e fanno sì che prepotentemente emerga dal buio all’insidioso mondo della luce.

Ho osservato per anni dall’interno le questioni del mondo del lavoro aggravate dalla deplorevole abitudine di considerarlo come una merce. Non ho avuto alcun potere di intervenire a un cambiamento delle tendenze degli ultimi decenni.

Ho individuato numerose variazioni dei comportamenti degli interessati, come il denaro al posto dei valori umani, la produttività al posto della sostenibilità, la specializzazione al posto della creatività artistica.

Nel frattempo il sindacato ha continuato a difendere i lavoratori occupati a tempo indeterminato senza preoccuparsi degli irregolari, del lavoro nero, della formazione, delle finte partite Iva.

La delocalizzazione ha dato il colpo di grazia, e se da un lato ha fatto abbassare i prezzi dei prodotti dall’altro ha svuotato le aziende madri di lavoratori competenti.

Negli anni ‘70 c’era ancora un artigianato diffuso nelle fabbriche e proprio tra quelle maestranze si sono formati gran parte degli attuali imprenditori italiani.

Il ciclo si è però interrotto per l’assenza di formazione e il persistere delle delocalizzazioni.

Sempre di più ho compreso che il seme sepolto era la formazione e anni fa ho realizzato dovesse diventare la chiave di volta della rinascita del nuovo tessuto produttivo della società italiana.

Il mio errore è stato di voler risolvere il problema nello stesso modo in cui era stato generato.

Sono diventato un minuscolo Don Chisciotte contro enormi mulini a vento, non sono riuscito a fare nulla di quel che avrei voluto. Mi sono reso conto che non si può vivere di buoni propositi.

Ora affido a queste parole la mia eredità affinché il mio sacrificio non sia stato vano.

Negli oltre trenta anni di vita lavorativa in qualità di impiegato amministrativo e tecnico mi sono reso conto delle tante incongruenze del mondo del lavoro.

Gli imprenditori consideravano i lavoratori come bestie da soma, da sfruttare al massimo, e raramente riuscivano ad apprezzare le qualità dei lavoratori in quanto persone meritorie di rendere la loro azienda competitiva.

Su dieci lavoratori solo uno o due erano contenti del proprio lavoro, lo svolgevano volentieri e non avrebbero cambiato per nulla al mondo la propria azienda, quelli che rimanevano erano a rimorchio e stavano lì per il bisogno di portare a casa la pagnotta.

Gli imprenditori spesso non sceglievano direttamente i lavoratori per vari motivi:

– non avevano le competenze necessarie per valutarli

– si affidavano agli amici degli amici

– gli bastava spendere poco ed erano già contenti

Con le agevolazioni introdotte dalla selva di contratti aziendali, oggi assumono con la stessa facilità con la quale si comprano prodotti al discount, quasi sempre a tempo determinato, empatia vicina allo zero e rotazione personale come le scorte di un magazzino all’ingrosso.

Ma un dipendente non è forse una parte dell’azienda? Se quella persona assunta poi risponderà a telefono e verrà testata, la sua preparazione non rappresenterà l’azienda?

Chi si comporta con queste modalità è consapevole che quelle decisioni gli si potranno torcere contro prima o poi?

*

Devo raccontarlo, devo recuperare i ricordi, mettere insieme i brandelli della mia attività miseramente sgretolata e infine spanderli ai quattro venti come il tintinnante suono delle campane a festa.

Un’attività iniziata troppo tardi, troppa preparazione, troppa fiducia nella tecnologia, nei social, nelle persone.

Non avevo l’utile affanno di chi si avventura in un’attività a venti anni, ero riposato, calmo, compassato e autofinanziatomi totalmente non avevo nemmeno bisogno della banche.

Non calcolavo il tempo sprecato, i viaggi in auto in Toscana, il costo del web designer, il commercialista.

Volevo solo dimostrare di avere ragione.

Volevo essere utile alle persone.

Volevo dar lavoro ai numerosi docenti della mia agenzia formativa da me contattati.

Volevo ottenere risultati ottimali con la pubblicità sui social del mio sito web.

Più andavo avanti nella mia impresa e più le porte mi si chiudevano in faccia.

Nessuno riteneva utili i corsi da me proposti e i canali pubblicitari da me utilizzati non erano idonei a far arrivare le informazioni ai diretti interessati.

Le pubblicità su Facebook a pagamento completamente inutili.

I tentativi di collaborazione con amministrazioni pubbliche, agenzie formative riconosciute e scuole risultarono enormi buchi nell’acqua.

La rottura dell’incantesimo non fu fulminea, mi sono semplicemente svuotato di energia dopo due anni senza essere riuscito a organizzare nemmeno un corso degli oltre trenta pubblicati nel sito web.

Alla fine ho chiuso sito web e partita Iva a fine 2017.

Mi è rimasto attiva solo la pagina Facebook, come fosse la ricevuta di un parcheggio: “Saperi attivi”, ecco il nome del sito web da tempo cessato.

Ora posso raccontare questo fallimento. Questo racconto è necessario, ancora più importante dell’aver avviato l’attività, e lo faccio con un piacere immenso.

*

Ecco che nelle decine di anni mi sono sforzato di far capire alle aziende che la formazione è la chiave di volta di ogni nuova attività. Se le persone non ricevono la giusta formazione sono destinate a diventare mine vaganti.

Nell’idea degli imprenditori formare le persone è un costo. I lavoratori devono lavorare, del resto sono bestie da soma e qui finisce ogni tentativo di farli ragionare, poi quando qualcuno, mente aperta, ha formato qualche dipendente, questo se n’è andato e l’imprenditore ha visto sfumare così l’investimento; chiaramente non ci vuole cadere di nuovo e si astiene da formare le persone, le cerca già formate.

Quest’idea andava bene trenta o quaranta anni fa, ora invece sul mercato ci sono imprese che cercano persone formate, nessuno che le forma e disoccupati a go-go.

Ho analizzato il settore della formazione. Ci sono delle scuole con alti livelli di specializzazione come ad esempio il Polimoda, la scuola di ceramica, la scuola di parrucchieri, di musica ecc. Ognuna di queste ha budget pubblicitari e non ci sono organismi statali o regionali preposti al coordinamento di queste attività.

Poi ci sono le agenzie formative riconosciute con legge regionale, dove imperversano quantità indecenti di corsi obbligatori per legge e per lo più inutili.

Le agenzie formative private sono quasi sempre collocate nelle città medio-grandi e sono un poco simili a quella che avevo io, ma io ero da solo e collocato nella provincia e non potevo utilizzare l’enorme bacino di utenza delle città.

Come tentativo in extremis cercai di collaborare con i modernissimi co-working, i nuovi spazi funzionali che i giovani potevano affittare a prezzi modici. Alla mia età potevo essere il padre o il nonno di quei giovani intraprendenti ingegneri.

Ai responsabili del co-working provai a chiedere un public speaking durante le ore di pausa pranzo, quando tutti i cervelli si fermano, il corpo si nutre e… ci sarebbe stato tempo per parlare, ma… niente!

Le loro regole non prevedevano intrusioni per coloro che desideravano anche solo farsi conoscere dagli altri componenti del co-working.

La parte più emozionante e intrigante è stata quella della scoperta dei tesori nascosti delle competenze di decine di docenti desiderosi di farsi conoscere, di insegnare, condividere.

Non ho rimorsi in merito al mio fallimento, la mia attività è stata aperta e chiusa mentre usufruivo dei due anni di Naspi, non ci ho speso una fortuna perché forse non ci ho nemmeno creduto veramente.

Il nuovo mercato del lavoro.


Il nuovo mercato del lavoro.

 

Mi devo fare un pizzicotto per capire se è vero.

Son diventato una mosca e ho assistito a un colloquio di selezione per una segretaria.

La tizia aveva appreso della selezione da Facebook, anziché dagli uffici di collocamento, ah! Ora non si chiamano più così! Si chiamano Ufficio del lavoro.

Anche l’abitudine di cambiare i nomi delle cose non è bella.

Ufficio del lavoro va bene se il lavoro lo trovano a qualcuno, non mi sembra un nome appropriato.

Comunque la tizia all’ora prevista si presenta alla selezione, le chiedono la formazione, l’età e quando il selezionatore scopre che ha 28 anni il colloquio si chiude dopo aver spiegato che prendono persone al max di 24/25 anni perché devono fargli prima il contratto Giovani Sì poi un contratto a tempo determinato e infine uno di apprendistato.

Ora mi domando, io sono stato trasformato in una mosca perché è evidente la mia attività precedente era inutile. Sono contento di essere mosca perché come umano sarei molto più ingombrante con molti scarti, invece una mosca è leggera e magari si può schiacciare agevolmente, basta essere veloci o disporre di un ammazzamosche, sì perché le mosche sono molto più veloci delle fastidiose zanzare. Ormai è fatta, mi ci abituerò.

Prima di finire schiacciata comunque volevo dire che mi dispiace per quella ragazza scartata senza nemmeno aver potuto gareggiare per il posto.

Poi se si ascoltano le ragioni di un selezionatore viene da dubitare se sono le stesse dell’imprenditore per cui lavora. Chi ha determinato i criteri di selezione?

Come mosca sono una vera ficcanaso e sono andata a vedere come decidono questi criteri.

Un’impresa che funziona bene ha persone fedeli, ma soprattutto persone che amano il proprio lavoro. I veri imprenditori di una volta non esistono più. Ci sono i consigli di amministrazione, gli A.D. (amministratori delegati) e molte altre figure che non sanno scegliere le persone, allora cosa fanno? delegano ad altri e spesso si tratta di aziende di servizi o addirittura cacciatori di teste (head hunters). Insomma un gran casino che fa dimenticare ad ognuno chi è e cosa ci sta a fare al mondo.

Avevano perfino inventato una specializzazione: risorse umane, ma ora va di moda il risparmio selvaggio.

Molto tempo fa c’era un unica tendenza, un unico scopo: rastrellare personale fedele, assertivo, propositivo, motivato, preparato in modo da formare persone coese e disponibili al lavoro di gruppo.

La qualità di una azienda si rileva dalla qualità del personale e del suo livello di preparazione, se non c’è qualità nelle aziende non è colpa del recente Covid.

In poco tempo è stato buttato tutto all’ortiche, tutti hanno contribuito con un unico verbo: il denaro, e risparmiare è diventato il comandamento unico.

Non solo con le numerose tipologie di contratti esistenti passati da 200 a 700 e riuscendo a pagare quasi la metà persone che svolgono lo stesso lavoro nella stessa azienda, tutto con buona pace di governo e sindacati, ma soprattutto della massa ignorante della popolazione.

Attenzione io sono una mosca e non voglio offendere nessuno.

Ignorante perché nessuno sa queste cose, solo perché non le dicono al telegiornale.

La TV aveva perfino fatto credere che i problemi del lavoro erano relativi al solo art. 18.

Come non dicono che ci sono forme di assunzione come Giovani Sì con la quale vengono assunti giovani per un anno e pagati € 500,00 al mese svolgendo spesso un lavoro da € 1.500.

Anche qui sono importanti le parole.

Tale forma di assunzione si potrebbe agevolmente ribattezzare “Giovani Si muore!”.

Perché è vero io sono una mosca e non ho voce, ma se la dovessi dire tutta, allora cosa devono fare i giovani?

Come primo lavoro prendono € 500,00 poi gli fanno un contratto tempo determinato, e infine uno di quei contratti a paga bassa magari da 900 euro, ma quando li mettono da parte i soldi per sposarsi?

Ah già, ma ora chi si sposa più?

A me comunque va bene così perché se la gente non ha soldi figuriamoci se compra l’insetticida!

Il vegetale di Gennaro Nunziante


Il vegetale di Gennaro Nunziante

Ieri sono andato al cinema come ai vecchi tempi, quando andavamo al cinema senza sapere che c’è; giusto per passare il tempo.

Il film “Il vegetale” di Gennaro Nunziante non è esattamente la sequela dei film con Checco Zalone con i quali ha riscosso un discreto successo. Il giovane eroe Fabio Rovazzi, è alla ricerca di lavoro, poi deciderete voi se eroe negativo o positivo, sono solo punti di vista.

Mi sono commosso a ridere sulle disavventure del giovane Fabio.

Le tematiche affrontate sono anche la fuga dalla città di Milano, i difficili rapporti con la sorellastra manager, l’assenza di comunicazione con il padre fagocitato dalla mondanità e da guadagni troppo facili.

Forse mi sono immedesimato in certi aspetti del personaggio al centro del film.

Quando un giovane perde la madre in gioventù, si immunizza dal pericolo di diventare bamboccione.

Evidentemente tutto il male non viene per nuocere. La nascita della sorellastra dalla nuova coppia formatasi tra suo padre e una avvenente compagna arrivata dai paesi dell’Est diventa motivo per Fabio per cercare una sua identità.

Tutto contribuisce a creare una corazza di spregiudicata onestà, che forse fa parte del suo DNA, ma è anche il filone della favola del quotidiano che si snoda durante tutto il film.

Le favole prendono spunto da fatti veri e li rivestono di poesia. Se crediamo ai fatti di cronaca, possiamo non credere alle favole?

Nel film Fabio si muove con la curiosità di una scimmia e l’intraprendenza di una formica, il nomignolo di “vegetale” affibbiato dal padre sembra non calzare.

Probabilmente glielo ha messo perché non conosce il mondo delle persone.

Fabio si trasforma quando gli stage gli permettono di scoprire quello che non conosceva: le relazioni umane.

Pur essendo laureato in scienza delle comunicazioni non sa comunicare.

Alla fine tutto quaglia, perché è una favola. Il messaggio è la riscoperta dei lavori manuali, la sana fatica che fa bene.

Le favole aiutano, molto più dei fatti di cronaca.

Prima di affermare che è una stronzata, o il solito film panettone da botteghino, andate a vederlo, anche solo per le magnifiche location laziali.

Lo stagista inaspettato di Nancy Meyers 2015


 

Lo stagista inaspettato di Nancy Meyers 2015

Le mie recensioni non sono riassunti del film, devo averlo già detto, quelli che recensisco mi son piaciuti altrimenti non avrei pubblicato nulla. Il film in questo caso mi serve come una molla, uno spunto, un’idea. Si tratta di un film sullo scarto generazionale al tempo delle start-up milionarie.

I personaggi principali Ben (Robert De Niro) e Jules (Anne Hathaway); il primo vedovo in pensione, piuttosto benestante ma essenzialmente annoiato, la seconda, brillante fondatrice di un sito di e-commerce che commercia in abiti femminili ci propongono scene capaci di farci sorridere.

L’azienda di Jules ha lanciato un programma secondo il quale vanno assunti almeno due ultra-sessantenni in qualità di stagisti. Ben si candida e spiazza gli altri concorrenti, per lo più messi molto peggio.

Trovo originale l’idea dello stagista ultrasessatenne e come questo venga utilizzato nell’azienda di Jules.

Infatti Ben riesce sfoderare un po’ alla volta le capacità organizzative e di comando che gli permetteranno di guadagnarsi la stima dei colleghi.

Riesce a dare il meglio di sé anche alla sua età e i colleghi lo utilizzano a piene mani.

Robert De Niro è uno che tende a fare “cassetta”, si è reinventato i personaggi dei suoi film, come l’ha fatto Terence Hill con Don Matteo, e un po’ per l’età un po’ per l’esperienza, i film come Taxy driver e Toro scatenato l’hanno reso famoso, ma ora lui è un altra persona. Nel film è proprio quello che ci voleva, con la sua eleganza, i suoi modi vintage, riesce ad ammaliare e convincere.

Una ciliegia tira l’altra e i discorsi portano al motivo della recensione.

I film talvolta sono delle sfide, prima hanno fatto il film di un viaggio sulla luna e poi ci siamo andati.

Forse bisognava fare fare un film con uno stagista anziano per capire che talvolta lo stagista può insegnare e anche molto bene.

Come nella politica, quando giovani rampanti vorrebbero imbarcarsi in avventure elettorali e vengono stoppati dai senior di turno, e tocca sempre a loro, poi qualcuno si lamenta che non c’è ricambio… “Non è il tuo turno, devi aspettare”, e quando magari arriva, è troppo tardi.

Gli stagisti sono appetibili fino a 30 anni, poi diventano troppo vecchi e non piacciono più.

L’età migliore è quella già trascorsa.

Allora diamo un’occhiata alle leggi italiane e a quanto si fa per i giovani, tanto, forse troppo e magari qualcuno pensa che è ancora poco.

Il problema è un altro. Facciamo una ipotesi : il film è una favola che finisce bene perché si utilizza un anziano con esperienza, la start-up ne beneficia e migliora vendite.

La relativa tesi è che gli sforzi per impiegare i giovani al lavoro sono nulli se non si creano le condizioni favorevoli sul lavoro e se sono solo i vantaggi economici a motivare l’assunzione dei giovani non si va da nessuna parte.

Una giornata persa


 

 

 

 

 

Una giornata persa

Mi ero candidato a un posto di lavoro rispondendo alle inserzioni di siti specializzati, e tutto è iniziato con una telefonata, di sabato mattina, mi hanno spiegato che la loro azienda necessita di un posto di back-office. Vado quindi al colloquio il lunedì e dopo cinque minuti mi liquidano dicendomi che mi vogliono rivedere per la giornata di prova, il lunedì successivo.

Ora, tengo a precisare che nel primo colloquio mi avevano spiegato esattamente cosa dovevo fare, acquisizione dei dati della clientela, esercitazioni su un programma di anagrafici, indicata anche la cifra mensile, orario e luogo di lavoro.

Il lunedì successivo, appena sono arrivato mi hanno fatto firmare un foglio, e quello mi ha ricordato tanto un network di assatanati conosciuto una ventina di anni fa e non pensavo esistesse ancora qualcosa di simile.

Non posso parlar male di chi mi ha contattato, ma la ragazza gentile della telefonata non sembrava avere niente a che fare con i ceffi addetti alla selezione che ho incontrato successivamente.

La persona della settimana prima me ne ha presentata un altra dicendo che dovrò starci insieme tutto il giorno.

Mi sono trovato poi catapultato in un altra città a quaranta chilometri a suonare campanelli alla gente, accompagnato anche da due ragazze straniere che potevano essere mie figlie per l’età inferiore ai trenta anni.

Una persona che ti invita per un colloquio di lavoro e poi te ne offre un altro come la vogliamo chiamare? Non voglio fare il nome della ditta, ma raccontare come è successo.

Le aziende sono sfuggevoli come anguille, hanno molti nomi e ogni nome non sembra essere sinonimo di serietà.

Mi avevano cercato per un lavoro di back-office solo che si erano dimenticati dell’office e mi proponevano solo la parte “back”.

Ora se questa gente pensa ancora di avere mercato in un questo mondo credo ci sia qualcosa di sbagliato nel loro cervello e mi chiedo anche se è lecito che continuino a molestare i cittadini nelle loco abitazioni.

Da parte mia, quando voglio cambiare la televisione non aspetto che venga qualcuno a mostrarmi i modelli, guardo in rete, scelgo quella che mi aggrada, magari poi vado in negozio a ritirarla.

Stessa cosa se devo il cambiare gestore dell’energia. A conferma di ciò, un amico mi ha detto sorridendo che se venissero a casa sua li prenderebbe a fucilate, compresi quelli che si spacciano per le letture dell’energia, sostituite da anni dalla telelettura del contatore.

Io li accompagno a suonare campanelli, quasi tutte le porte sono chiuse dall’interno con serrature di sicurezza, nei palazzi dai quattro ai sei piani, all’interno anziani con o senza badanti, ragazzine sole in casa senza genitori, la ricerca mira a trovare la persona titolare dei contratti, inferiore ai settantacinque anni di età, disposta ad ascoltare le offerte di aziende del settore energetico.

La scampanellata è diretta a tutti, aziende e privati, nel caso di aziende viene proposta una azienda, nel caso di privati un altra.

Sono stato con loro tutta la mattina, e non so quante centinaia di campanelli abbiamo suonato, gran parte senza risposta, perché c’è anche tanta gente che lavora e in casa non c’era nessuno.

Mi sono sentito truffato, deriso, ho accettato di girellare con loro la mattina.

Come si fa a pensare che un ultra cinquantenne vada a suonare i campanelli?

Cioè, è pur sempre un lavoro, ma almeno, dimmelo prima!

La giornata di prova non era affatto rispondente alle caratteristiche del lavoro.

Non sono tornato con loro nel pomeriggio.

Sono rimasto in un bar, ho aspettato che mi riportassero nella città dalla quale mi avevano portato via, come fanno i rapitori quando sequestrano l’ostaggio.

Sono una persona che sa essere paziente e poi avevo lasciato l’ombrello nell’ufficio della mattina e dovevo riprenderlo, inoltre mi aspettava il famoso test, al termine della “giornata di prova”.

Mi consegnano il test in una saletta con un rumore infernale, dove alcune ragazze venivano istruite con discutibili modalità per avere la motivazione necessaria per suonare i campanelli.

Il test aveva tutte domande inerenti la vendita e alla fine mi è stato detto che per il posto di back-office avevano già provveduto.

Come la Spam, questa è roba che deve finire e basta. Mi dà noia il fatto che questo comportamento induce illusione in chi spera in un lavoro, e avvalendosi di questo raccolgono adesioni da centinaia di giovani per un lavoro di una inutilità assoluta.

Per essere il primo colloquio dopo trentacinque anni posso solo affermare che mi poteva andare meglio, bastava che dicessero prima le cose come stavano, non avrei nemmeno scritto questo articolo.

FURBETTI DEL CARTELLINO


FURBETTI DEL CARTELLINO

Oggi ho proprio voglia di eviscerare, e non pensate ai pesci, la mia mente va alle notizie di cronaca.

Mi hanno colpito le raffiche di notizie sui furbetti del cartellino.

La prima sorpresa è :

– perché tutti ora, in varie parti d’Italia, come se si fossero messi d’accordo, giudici, giornalisti, forze dell’ordine? –

Sembra ci sia uno strano disegno sconosciuto sotto questi spiacevoli eventi.

La prima sensazione è il raccapriccio, viene da chiedersi come mai queste persone non ringraziano per il lavoro che hanno, gli consente il sostentamento per la famiglia; per giunta quel lavoro finora era ritenuto intoccabile.

I furbi sono duri a morire, come piante OGM sono immuni a veleni, a trattamenti, sembrano vivere di vita propria.

Potrebbe anche diventare arduo analizzare i decreti, i nomi dei politici che hanno promosso le leggi, il tira e molla nell’applicazione delle norme, infine una corte costituzionale preparata più a trovare errori di forma in leggi bislacche, che risultare di una qualche utilità al paese.

In questo bailamme cosa può dire il semplice uomo del bar anche se dotato della copia del piccone kossighiano?

Sento di voler capire, analizzare, mi chiedo perché esistono tanti furbi e chi e che cosa ha permesso l’esistenza di tante persone con tanto disamore per il proprio lavoro?

Perché si sentono in dovere di andare a giocare a tennis durante l’orario di lavoro?

Posso capire che ci tengono alla forma fisica per rispondere a tutti i quesiti del cittadino, ma perché insistono a prenderlo per i fondelli?

Mi immagino l’impiegato pubblico frustrato dal lavorare a stretto contatto con la burocrazia, si senta umiliato al solo tentare di districarsi nelle numerose leggi emanate, e gli sembri di avere una gomena a cappio intorno al collo.

Quale risposta può dare il dipendente pubblico se non quella egoistica di rispondere prima di tutto alle sue esigenze e solo dopo quelle del cittadino.

Ecco che poi il problema gli si ritorce contro. Infatti hanno tentato più volte di modificare le leggi che regolano il pubblico impiego.

Quali altre possibili reazioni per i dipendenti pubblici senza amore per il lavoro?

Come al solito si chiude la stalla quando i buoi sono scappati.

Dopo molti anni si sente di nuovo parlare di risorse umane, di formazione, non solo per le imprese private, le nuove idee sembrano davvero lungimiranti.

Meglio allora levarsi di torno i furbetti; allora quelle leggi che mai erano state nemmeno nominate, ora vengono proposte, senza vergogna, senza colpo ferire, sindacati permettendo.

La lungimiranza non sarà per i furbetti, loro troverebbero il modo di non andare nemmeno ai corsi e magari beneficiare ugualmente del punteggio, come se li avessero effettuati, ormai sono troppo calati nella loro parte.

Per chiudere l’articolo in bellezza vorrei aggiungere una considerazione sul tempo dedicato al lavoro. Nel pubblico il tempo è inferiore e deve essere di qualità,  nel privato le quaranta ore sono senza sconti anche sulla timbratura spesso si deve essere già cambiati e non in mutande, insomma un altro mondo.

Molte cose stanno cambiando, quando all’estero mi giunge notizia che in certi paesi come la Danimarca, quando hai finito di fare il tuo lavoro te ne vai a casa, perché se hai finito prima, che ci fai a perder tempo?

Ci farebbero un pensierino anche i tennisti furbetti del cartellino, se lo potessero fare.

L’immagine in evidenza tratta dal sito web leggioggi.it

SENZA BIGLIETTO


biglietto-da-visita

SENZA BIGLIETTO

Sono passati quasi venti anni dal primo corso di informatica. Lo chiamavano così l’approccio alla rete, alla navigazione internet a 4800 k/sec, i primi browser, la posta elettronica di Eudora, bei ricordi.
Non esistevano, o erano molto rari gli esperti di database, web editor, web marketing, programmatori html ecc.
A quei tempi c’erano i bigliettini da visita. Dovevi averne uno colorato, la grafica era fondamentale, pochi dati ma essenziali, guai a non avere il cellulare, la mail non tutti ce l’avevano.
La cosa migliore avere qualcosa che lo differenziava, come alcune parti lucide o dei forellini a formare il logo di un’immagine o un disegno in rilievo ; allora quella era un perla e rappresentava valore aggiunto.
C’era chi si faceva anche mettere la foto e allora lo avrei mandato dallo psicologo.
In generale si preferiva vedere la gente in faccia, ascoltarsi, piacersi e finalmente stringersi calorosamente la mano.
Ne è passata di acqua sotto a ponti.
Sono qui.
Con un sito internet a presentare docenti con idee nuove e meno nuove, a dare opportunità a giovani e meno giovani, contattare agenzie formative con i loro enormi bacini di utenze.
Sono senza biglietto, non l’ho proprio fatto, ma sto comunque navigando anzi se mi state leggendo anche voi ci incontreremo.
Possiamo farlo.
Anzi, come dice un mio amico blogger :
– celapossiamofare –

LATTAIO


lattaio

IMG DAL WEB

IL LATTAIO

Agenore aveva capito che il lavoro dei campi era troppo duro e non costituiva una adeguata fonte di reddito per la famiglia.
Provò, come ultimo tentativo, a vendere direttamente il latte delle mucche. Cominciò con il latte delle sue mucche, poi anche di altri contadini disposti a cedere parte della produzione in eccesso.
Olga, la moglie aveva il suo da fare a casa vacche, galline e conigli, la casa, i figli, la cucina ;
non poteva dargli grande aiuto.
Il travaso dai contenitori metallici alle bottiglie era il momento più delicato, guai a sprecarne anche una goccia !
Una volta preparate le casse delle bottiglie via ad effettuare le consegne.
Il latte fresco appena munto formava delle macchie gialle come se fosse brodo. Si trattava del grasso che lentamente si spostava verso la superficie. Il latte, generoso di bianco, morbido, naturale, invogliante alla sete diffondeva nell’aria un profumo intenso, penetrante come alla nursery del reparto neonatale.
Per effettuare le consegne a tutti i clienti erano necessarie diverse uscite e rientri a casa, riportare i vuoti e riempirli di nuovo.
Non è facile cambiare le abitudini. Agenore comprese questo a sue spese. Anche le piccole cose, le più insignificanti, come quella delle bottiglie di latte.
Ogni famiglia aveva le sue bottiglie e non voleva separarsi dalla propria, con il vetro verde o rosso che fosse e pretendeva di usare sempre quelle. Queste richieste gli complicavano il lavoro.
Non fu facile imporre uno standard sulla misura e colore delle bottiglie. Alla fine ci riuscì.
Il lattaio girava per le case, di buon mattino, per lasciare le bottiglie di latte e ritirare i vuoti.
Il latte fresco veniva bollito e solo il primo giorno qualcuno dei suoi clienti lo beveva fresco. La paura che il latte potesse essere contaminato svaniva con una bollitura. Certe massaie però lo bollivano anche più volte.
Il latte di Agenore era di provenienza ben nota, c’era un rapporto con i produttori basato su una piena fiducia.
Poi come si poteva non avere fiducia in Agenore, quell’omone alto con naso aquilino e orecchie a sventola, guance colorite, le dita gonfie di stanchezza.
Era tanto robusto che una volta sulla bicicletta i compaesani si chiedevano di che marca fosse per resistere a lui e alle bottiglie di latte.
La spiegazione erano le ruote rinforzate tipiche dei piccoli motorini del tipo “cucciolo” degli anni ’30 del 1900 e il telaio con robuste saldature per la cassa delle bottiglie di latte.
Dalla vita dei campi dall’alba al tramonto a girellare tra consegne e paese con bottiglie di latte sembrò dapprima un divertimento.
La salute era migliorata e una fastidiosa malattia respiratoria era sparita quasi completamente.
La fonte di guadagno dalla vendita di latte con consegna porta a porta non risultò molto elevata.
Ci volle un po’ di tempo per capirlo. I primi tempi pensava di avere pochi clienti, e che dovesse incrementarli.
Anche con questi accorgimenti il denaro che entrava in casa non era sufficiente e i lavoratori a opra guadagnavano cifre più dignitose con molti meno problemi.
In certe famiglie aleggiava lo spettro della povertà e non riuscivano nemmeno a pagare il lattaio.
Percorreva i luoghi in cui era nato, ogni giorno, tra quelle campagne con erbe e fiori diversi in ogni stagione, i profumi, i colori, i silenzi del mattino. Tutto ciò dava ad Agenore un senso di completezza, come se si sentisse parte attiva in quella umile realtà contadina.
I ritiri del latte li effettuava la mattina presto, appena munto dalle vacche delle stalle vicine.
Appena ritirato provvedeva a portarlo a casa dove poi lo imbottigliava e ripartiva per le consegne.
Agenore negli anni ebbe modo di conoscere molte persone e farsi tanti amici.
Lui distribuiva quell’alimento buono e naturale e poi se crescevano bene i vitelli poteva far male alle persone ?
Sentiva di lavorare per far star bene i suoi compaesani.
I bambini dei Rossetti, la casa di contadini sulla collina appena fuori del paese gli correvano incontro con le bottiglie vuote per evitargli di far la salita con la bicicletta fino a casa. Certe volte gli portavano un po’ di uva secca o noci, ma lui era contento anche solo a vederli.
I loro sorrisi gli ripagavano la fatica di pedalare in ogni stagione.
Curvo sul velocipede nero antico con un berretto di feltro, e quando pioveva forte non era abbastanza.
Si era sparsa la terribile fama di far sparire i ciucci con la scusa che gli  era appena nato un vitellino e che per poter mungere la  mamma mucca e non far piangere il cucciolo doveva dargli il succhiotto,  la storiella  era un valido aiuto per le mamme che eliminavano il vizio senza prendersi grandi responsabilità.
La sua era una attività che oggi definiremmo «dal produttore al consumatore, a km zero»
Poteva continuare solo se si ingrandiva, se diventava un vero e proprio commercio, con bottega, contenitori del latte.
Negli anni a venire sarebbero sorte le latterie, con punti di raccolta di grosse quantità di latte e distribuzione diretta simile alla mescita dei vini.
Tutto bene fino alla registrazione del marchio Tetra Pak nel 1950, e il suo nome lo deve al fatto che fu per la prima volta un latte a forma di tetraedro; il primo tetra pak fu realizzato a Stoccolma nel 1953 su idea di un certo Erik Wallemberg. In Italia arrivò sul finire degli anni Sessanta.
Agenore terminò l’attività di lattaio oltre trenta anni prima del tetrapak che di fatto scrisse la fine dei lattai, anche quelli con tanto di negozio.
I più ostinati hanno continuato l’attività fino agli anni ’80, ma era una lotta persa in partenza.
Tutta la storia su latte è da riscrivere.
Se Agenore fosse qui, di sicuro strabuzzerebbe gli occhi al solo prendere atto degli studi sulla tossicità del latte, lo studio Americano di Colin Campbell  “The China Study” lo conferma, il latte e’ responsabile di molte patologie dell’uomo.
Di sicuro le mucche non subivano le cure e i trattamenti effettuati negli allevamenti intensivi che ci mostrano nei documentari di agricoltura e allevamento.
I latte , la buona fonte di calcio, tante proteine, belle immagini di un fluido bianchissimo rimane una favola delle agenzie pubblicitarie che ci disegnano un prodotto che nella pratica non esiste più. Viene ora definito un fluido malsano proveniente da animali malati trattati farmacologicamente, oltre ad essere naturalmente ricco di ormoni non utili alla natura umana.
Questo alimento, assieme all’uso di latticini, concorrono decisamente ai tumore della prostata, del seno, dei  fibromi vaginali, del cancro sul collo dell’utero, ecc.,  in quanto il latte e’ un “alimento ormonico “ricco di progesterone, estrogeno, ecc., nonché fortemente acidificante.
Certi studiosi hanno tentato di risolvere ogni problema con il latte di soia, ma è risultato un sforzo vano. La soia un secolo fa era un prodotto industriale e ora è coltivato in 72 milioni di acri; viene utilizzato per l’alimentazione animale, una parte per produrre grassi e olio vegetale. Di recente la soia è stata camuffata come cibo miracoloso per la new age vegana.
La soia non è solo priva di proteine complete, ma contiene composti che bloccano l’assorbimento di proteine, zinco e ferro. La giustificazione per introdurre soia nella alimentazione infantile e quelle di ridurre grassi. I grassi contengono molti nutrienti vitali per crescita e sviluppo normali.
Privare i bambini dei grassi è un crimine.
La soia non è mai servita come alimento fino alla scoperta delle tecniche di fermentazione.
I vegetariani che consumano tofu e caglio di fagioli di soia come sostituti della carne e dei prodotti caseari rischiano di provocare una grave carenza di minerali.
Fin dalla fine degli anni ’50 si sa che i sostituti del latte a base di soia contengono agenti che contrastano le funzioni della tiroide. I neonati a cui vengono dati preparati a base di soia sono particolarmente predisposti a sviluppare malattie della tiroide relative alle funzioni del sistema immunitario.
Fior di scienziati foraggiati da aziende plurimiliardarie si ergono a difensori di questa sostanza e dei suoi derivati.
Fra tante teorie mi piace segnalarne una significativa : il Dr. Claude Hughes, direttore del Women’s Health Center al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles dichiara: “La mia attenta opinione professionale è che ha più senso non esporre inutilmente il vostro neonato a questi preparati”, E aggiunge: “Mentre l’allattamento al seno è di gran lunga preferibile, le madri che non allattano al seno dovrebbero utilizzare preparati a base di latte e considerare quelli a base di soia come ultima risorsa.”
I derivati della soia poi sembrano essere i più pericolosi : gli isoflavoni, i fitoestrogeni, gli inibitori della proteasi, l’acido fitico, la lecitina di soia (o emaglutina), le nitrosammine e la misteriosa tossina della soia sono tutte sostanze dalle quali è meglio stare lontani.
Quando i nutrizionisti lanciano i loro appelli del tipo :
– mangiate questo che fa bene o non mangiate quest’altro perché fa male – sorge il dubbio che tante regole e consigli abbiano delle motivazioni di tipo economico più che scientifico.
Troppe volte il razionale e la rete del profitto riduzionista ha spinto i consumi verso prodotti che poco hanno a che vedere con la salute. Occorre ripensare la scienza della nutrizione.
Viene da chiedersi, pensando anche ad Agenore che tutto sommato fece bene a smettere di portare il latte nelle case e farsi assumere in una grande azienda manifatturiera, poco avrebbe potuto contro le nascenti lobbies del latte in polvere.
Ognuno la sua epoca, qual è la nostra ? Chi è l’Agenore di turno adesso ?

Un colpo di forbici


albergo egitto

img dal web

Un colpo di forbici

Lo avevano vestito come gli altri giardinieri. Nei periodi di punta, quando i vacanzieri riempiono completamente l’albergo c’è bisogno di molto personale. Probabilmente la direzione aveva assunto tutte le persone che avevano inoltrato domanda di lavoro.
Camerieri, assistenti dei servizi ai piani, cuochi, fattorini, domestici, receptionist, la macchina delle assunzioni è un tritacarne e acchiappa tutto.
La location affacciata sul mare cristallino con barriera corallina non può permettersi di non avere personale per soddisfare tutte le esigenze dell’enorme struttura.
Quella mattina davanti all’ingresso principale l’autobus era arrivato prima dell’orario prestabilito, mi ero piazzato ad un sedile vicino al finestrino con altri escursionisti.
Da quella posizione potevo vedere il grande giardino con siepe, come ogni grande albergo i giardini sono come il biglietto da visita della struttura. La linea, le forme, l’importanza determinano e assegnano livello e qualità dei servizi offerti.
L’autobus non partiva. Osservavo le divise marroni del mega-albergo con dentro corpi di beduini, agricoltori, pastori, allineate in prossimità della siepe, pronte a ghermire la preda verde dotata di rami cresciuti troppo.
Era evidente che il mestiere di giardiniere nel deserto non era tra le esperienze acquisite da quei lavoratori.
La siepe, non più alta di un metro aveva perso il taglio geometrico impostole anni prima, una crescita irregolare di piccoli rametti le aveva conferito forme rotondeggianti.
La squadra dei presunti giardinieri guidata da un giovane con piglio da manager e completo verde pisello si apprestava a compiere l’opera di potatura.
Il ritardo nella partenza dell’autobus permise a noi turisti di osservare quel lavoratore così simpatico.
Il caposquadra aveva fornito al gruppo dei giardinieri vari tipi di forbici da potatura disponibili.
Nel gruppo ce n’erano alcuni molto abili e lo si capiva dalla velocità di esecuzione, dalle foglie che cadevano, dalla forma della siepe post-potatura.
Il lavoratore simpatico era nel gruppo dei giardinieri, forse non avrebbe dovuto esserci, ma fece di tutto per attirare l’attenzione. L’avevo osservato fin dall’inizio. Come quando si riconosce un impiegato in un gruppo di contadini.
Gli avevano mostrato come si usano le forbici da pota, di sicuro non le aveva mai viste, ma aveva capito subito come usarle. Lui tagliava, proprio tutto, tutto quello che spuntava, preciso.
Non era proprio il massimo che si vorrebbe da un giardiniere, ma il bello era come lo faceva.
Un taglio e ….stop ! Si fermava, guardava in giro e aspettava qualcuno che desse lui la giusta approvazione, mentre elargiva sorrisi a tutto l’autobus e a chiunque passasse di lì; poi una pausa e poi ancora ….zac, un altro taglio e via con i sorrisi.
Passavano i minuti e il lavoratore simpatico tagliava sempre nel solito posto.
Forse avevano omesso nelle spiegazioni qual era lo scopo della potatura, e cioè il raggiungimento di una certa forma della siepe.
Avrei voluto dirgli del buco che stava provocando nella siepe e che mentre tagliava non immaginava che quella sarebbe stata l’ultima volta.
Non ce la feci ad avvertirlo, non avrei potuto comunque farlo.
Al ritorno dall’escursione un grosso buco nella siepe avrebbe documentato per qualche tempo una nuova esperienza lavorativa di un giovane e simpatico egiziano.

INGEGNO


COMPRESSORE FRIGO

Img dal web

INGEGNO

Negli anni settanta c’erano veramente tanti lavoratori impegnati molte ore alla settimana.
In certi uffici si lavorava perfino il sabato.
Il tempo libero non era molto, ma qualcuno trovava il tempo di dilettarsi alle attività più strane.
Andrea lavorava come meccanico in una azienda di costruzioni di precisione.
Conosceva ogni tipo di metallo e poteva modellarli a suo piacimento con martelli, lime, o altri utensili. Sapeva saldarli con gli appositi saldatori a stagno, gas, o fiamma ossidrica.
Si era costruito un portabiciclette in ferro anticipando le rastrelliere che troviamo in prossimità dei parcheggi dei supermercati.
L’altalena per il figlio l’aveva ottenuta da una robusta longarina assicurata al muro della casa con enormi viti a ferro ancorate nella pietra. Dalla longarina calavano due catene e terminavano con una seggiolina in spessa lamiera verniciata. Bastava spingere i bambini e il divertimento era assicurato.
Le opere di ingegno si susseguivano e lo scopo era dotarsi di strumenti utili e condivisibili con la famiglia.
Andrea riuscì a procurarsi un vecchio frigorifero.
Il motore era funzionante, tolse solo quello e buttò via il resto. Quando si stacca il motore, il gas fuoriesce, ma il motore funziona come i rumorosi compressori ad aria e appena collegato in modo corretto alla rete elettrica si comporta in modo egregio ad esempio per gonfiare le biciclette.
Al minuscolo tubo in metallo della circolazione del gas Andrea aveva attaccato un tubetto in plastica e provò perfino a metterci il manometro per la pressione.
L’idea risultò buona e funzionò bene nel periodo estivo.
Stranamente l’oggetto si era portato dietro dei ricordi del frigorifero. Era molto silenzioso, ma funzionava come i tergicristalli delle auto dei carabinieri.
Ah ! Non la sapete la barzelletta ?
Il maresciallo chiede all’appuntato se funziona il tergicristallo e questi risponde :
– ora si , ora no , ora si, ora no – mmm…… dovete ridere altrimenti non l’avete capita !!!!!!!
Infatti la pompa funzionava ad esempio tre minuti, poi inspiegabilmente si bloccava per un minuto e sempre senza motivo iniziava di nuovo a pompare.
Nell’estate con il caldo andava a diritto come la banda, poi in inverno stava anche dieci minuti ferma e accesa solo qualche minuto.
Una volta gli rimase accesa e probabilmente pompò fino a che capitando in garage per caso sentì il rumore della pompa.
Il mistero venne svelato da un termostato che era rimasto attivo. Quando c’è molto freddo il frigorifero non si accende, e infatti in inverno il motore pompava molto meno.
Se era freddo che pompava a fare ? Andrea rimaneva lì come un bischero ad aspettare che la bicicletta si gonfiasse.
Spesso si scocciava e allora prendeva la vecchia pompa a stantuffo che non tradiva mai.
Le opere di ingegno vanno capite a fondo se no, meglio lasciar stare.
Ora se Andrea avesse i filmati di youtube con le modalità per autocostruire compressori con motore di frigorifero e estintore usato chissà quanti spunti avrebbe !