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In altre parole di Jhumpa Lahiri
La lingua, il nostro meraviglioso strumento per comunicare si appiccica al popolo che la usa come un collant modellante.
Non ci si deve meravigliare se ci sono parole intraducibili o significati multipli.
Gli eschimesi hanno sette modi per esprimere la parola neve, mentre a noi ne basta una sola.
Il ricercatore americano, linguista, K. David Harrison, ha girato il mondo per studiare le lingue a rischio di estinzione. Gli Yupik per esempio identificano e nominano in modo diverso almeno 99 formazioni di ghiaccio diverse.
A proposito di lingua poi ci sono gli amori a senso unico come chi vuol usare una lingua solo perché magari gli smuove delle emozioni.
Ecco quindi i toni, la musicalità del francese rispetto al tedesco oppure ci sta simpatico il popolo che la usa o abbiamo conosciuto qualcuno di un’altra nazionalità e vogliamo conoscere la sua lingua.
Una breve premessa del concetto di lingua mi serve per introdurre la recensione ad un piacevole libro letto alcuni giorni fa.
Una scrittrice statunitense di origine indiana Jhumpa Lahiri, ha scritto cinque libri, l’ultimo direttamente in italiano : In altre parole.
Si potrebbe definire una autobiografia linguistica, ma anche il dolce trasporto di un giallo perché non sai dove ti vuole portare alla fine di ogni capitolo. Continuo a leggere penso a lei di origine indiana e mi sento dolcemente trasportato come un barcone nel fiume Gange.
Le sue origini bengalesi, la gioventù negli Stati Uniti e la necessità di conoscere la lingua inglese senza perdere il bengalese voluto dai genitori; entrambe le lingue imposte da altri. L’autrice ci racconta del suo incontro con questa terza lingua.
Ed ecco che, a venticinque anni, Jhumpa Lahiri incontra per caso, in vacanza nel nostro paese, una terza lingua, la sua emancipazione dalle imposizioni, la prima vera scelta: l’italiano.
La ragazza si innamora della lingua italiana, le piace perché è una scelta personale, senza obblighi.
Tanto è l’amore che si trasferisce a Roma per impararla meglio. Ma ecco che le viene naturale cominciare a pensare in italiano, e quindi inizia a scrivere in quella lingua che ben conosciamo.
All’inizio frasi piene di errori, sono più le correzioni delle parole scritte bene.
Jhumpa è tosta e insiste, nello studio, nella pratica e non si ferma alle prime avvisaglie di difficoltà.
Il libro scorre bene, capitolo dopo capitolo non si tratta solo della sua autobiografia, ma anche una piacevole fonte di ispirazione per libro-dipendenti con numerosi riferimenti a scrittori più o meno noti e splendide analisi linguistiche.
Non mancano le introspezioni psicologiche e l’autrice comprende che il suo amore per l’italiano non è capito, anche dopo interviste in italiano, lezioni agli allievi, lei rimane sempre una straniera e quando le commesse romane le si rivolgono con “can I help you” vorrebbe sprofondare in un abisso inglese. Ha dedicato molti anni della sua vita alla conoscenza della lingua, ma non potrà mai ambire a qualcosa di più.
Mi ha colpito una frase del libro :
– credo che uno scrittore debba osservare il mondo esistente prima di immaginarne uno inesistente. –
Mentre penso a Jhumpa rifletto sui miei limiti, a quanto poco so usare la lingua e quanti strafalcioni noi italiani ci permettiamo. L’uso delle parole dovrebbe essere un punto di arrivo.
Per chiudere questa recensione penso a quanto può contribuire un libro scritto da una statunitense di origine indiana con la passione per l’italiano a farci apprezzare la nostra lingua.
E se si potessero misurare i contributi per l’apprezzamento della lingua in chilometri, se il suo libro ne portasse anche solo un centimetro… perché no ? Quindi, grazie Jhumpa Lahiri.