Il mio fallimento


Il mio fallimento

 

Un seme può stare anni silente nella terra, poi si verificano le condizioni giuste di temperatura e umidità e fanno sì che prepotentemente emerga dal buio all’insidioso mondo della luce.

Ho osservato per anni dall’interno le questioni del mondo del lavoro aggravate dalla deplorevole abitudine di considerarlo come una merce. Non ho avuto alcun potere di intervenire a un cambiamento delle tendenze degli ultimi decenni.

Ho individuato numerose variazioni dei comportamenti degli interessati, come il denaro al posto dei valori umani, la produttività al posto della sostenibilità, la specializzazione al posto della creatività artistica.

Nel frattempo il sindacato ha continuato a difendere i lavoratori occupati a tempo indeterminato senza preoccuparsi degli irregolari, del lavoro nero, della formazione, delle finte partite Iva.

La delocalizzazione ha dato il colpo di grazia, e se da un lato ha fatto abbassare i prezzi dei prodotti dall’altro ha svuotato le aziende madri di lavoratori competenti.

Negli anni ‘70 c’era ancora un artigianato diffuso nelle fabbriche e proprio tra quelle maestranze si sono formati gran parte degli attuali imprenditori italiani.

Il ciclo si è però interrotto per l’assenza di formazione e il persistere delle delocalizzazioni.

Sempre di più ho compreso che il seme sepolto era la formazione e anni fa ho realizzato dovesse diventare la chiave di volta della rinascita del nuovo tessuto produttivo della società italiana.

Il mio errore è stato di voler risolvere il problema nello stesso modo in cui era stato generato.

Sono diventato un minuscolo Don Chisciotte contro enormi mulini a vento, non sono riuscito a fare nulla di quel che avrei voluto. Mi sono reso conto che non si può vivere di buoni propositi.

Ora affido a queste parole la mia eredità affinché il mio sacrificio non sia stato vano.

Negli oltre trenta anni di vita lavorativa in qualità di impiegato amministrativo e tecnico mi sono reso conto delle tante incongruenze del mondo del lavoro.

Gli imprenditori consideravano i lavoratori come bestie da soma, da sfruttare al massimo, e raramente riuscivano ad apprezzare le qualità dei lavoratori in quanto persone meritorie di rendere la loro azienda competitiva.

Su dieci lavoratori solo uno o due erano contenti del proprio lavoro, lo svolgevano volentieri e non avrebbero cambiato per nulla al mondo la propria azienda, quelli che rimanevano erano a rimorchio e stavano lì per il bisogno di portare a casa la pagnotta.

Gli imprenditori spesso non sceglievano direttamente i lavoratori per vari motivi:

– non avevano le competenze necessarie per valutarli

– si affidavano agli amici degli amici

– gli bastava spendere poco ed erano già contenti

Con le agevolazioni introdotte dalla selva di contratti aziendali, oggi assumono con la stessa facilità con la quale si comprano prodotti al discount, quasi sempre a tempo determinato, empatia vicina allo zero e rotazione personale come le scorte di un magazzino all’ingrosso.

Ma un dipendente non è forse una parte dell’azienda? Se quella persona assunta poi risponderà a telefono e verrà testata, la sua preparazione non rappresenterà l’azienda?

Chi si comporta con queste modalità è consapevole che quelle decisioni gli si potranno torcere contro prima o poi?

*

Devo raccontarlo, devo recuperare i ricordi, mettere insieme i brandelli della mia attività miseramente sgretolata e infine spanderli ai quattro venti come il tintinnante suono delle campane a festa.

Un’attività iniziata troppo tardi, troppa preparazione, troppa fiducia nella tecnologia, nei social, nelle persone.

Non avevo l’utile affanno di chi si avventura in un’attività a venti anni, ero riposato, calmo, compassato e autofinanziatomi totalmente non avevo nemmeno bisogno della banche.

Non calcolavo il tempo sprecato, i viaggi in auto in Toscana, il costo del web designer, il commercialista.

Volevo solo dimostrare di avere ragione.

Volevo essere utile alle persone.

Volevo dar lavoro ai numerosi docenti della mia agenzia formativa da me contattati.

Volevo ottenere risultati ottimali con la pubblicità sui social del mio sito web.

Più andavo avanti nella mia impresa e più le porte mi si chiudevano in faccia.

Nessuno riteneva utili i corsi da me proposti e i canali pubblicitari da me utilizzati non erano idonei a far arrivare le informazioni ai diretti interessati.

Le pubblicità su Facebook a pagamento completamente inutili.

I tentativi di collaborazione con amministrazioni pubbliche, agenzie formative riconosciute e scuole risultarono enormi buchi nell’acqua.

La rottura dell’incantesimo non fu fulminea, mi sono semplicemente svuotato di energia dopo due anni senza essere riuscito a organizzare nemmeno un corso degli oltre trenta pubblicati nel sito web.

Alla fine ho chiuso sito web e partita Iva a fine 2017.

Mi è rimasto attiva solo la pagina Facebook, come fosse la ricevuta di un parcheggio: “Saperi attivi”, ecco il nome del sito web da tempo cessato.

Ora posso raccontare questo fallimento. Questo racconto è necessario, ancora più importante dell’aver avviato l’attività, e lo faccio con un piacere immenso.

*

Ecco che nelle decine di anni mi sono sforzato di far capire alle aziende che la formazione è la chiave di volta di ogni nuova attività. Se le persone non ricevono la giusta formazione sono destinate a diventare mine vaganti.

Nell’idea degli imprenditori formare le persone è un costo. I lavoratori devono lavorare, del resto sono bestie da soma e qui finisce ogni tentativo di farli ragionare, poi quando qualcuno, mente aperta, ha formato qualche dipendente, questo se n’è andato e l’imprenditore ha visto sfumare così l’investimento; chiaramente non ci vuole cadere di nuovo e si astiene da formare le persone, le cerca già formate.

Quest’idea andava bene trenta o quaranta anni fa, ora invece sul mercato ci sono imprese che cercano persone formate, nessuno che le forma e disoccupati a go-go.

Ho analizzato il settore della formazione. Ci sono delle scuole con alti livelli di specializzazione come ad esempio il Polimoda, la scuola di ceramica, la scuola di parrucchieri, di musica ecc. Ognuna di queste ha budget pubblicitari e non ci sono organismi statali o regionali preposti al coordinamento di queste attività.

Poi ci sono le agenzie formative riconosciute con legge regionale, dove imperversano quantità indecenti di corsi obbligatori per legge e per lo più inutili.

Le agenzie formative private sono quasi sempre collocate nelle città medio-grandi e sono un poco simili a quella che avevo io, ma io ero da solo e collocato nella provincia e non potevo utilizzare l’enorme bacino di utenza delle città.

Come tentativo in extremis cercai di collaborare con i modernissimi co-working, i nuovi spazi funzionali che i giovani potevano affittare a prezzi modici. Alla mia età potevo essere il padre o il nonno di quei giovani intraprendenti ingegneri.

Ai responsabili del co-working provai a chiedere un public speaking durante le ore di pausa pranzo, quando tutti i cervelli si fermano, il corpo si nutre e… ci sarebbe stato tempo per parlare, ma… niente!

Le loro regole non prevedevano intrusioni per coloro che desideravano anche solo farsi conoscere dagli altri componenti del co-working.

La parte più emozionante e intrigante è stata quella della scoperta dei tesori nascosti delle competenze di decine di docenti desiderosi di farsi conoscere, di insegnare, condividere.

Non ho rimorsi in merito al mio fallimento, la mia attività è stata aperta e chiusa mentre usufruivo dei due anni di Naspi, non ci ho speso una fortuna perché forse non ci ho nemmeno creduto veramente.

ECCELLENZE E COMUNICAZIONE


Avete notato quanto in questo secolo sono diventate importanti le informazioni ?
Prima avevamo il giornale radio, il giornale di carta, non tutti avevano la televisione, per scegliere usava anche il “sentito dire”.
Ora abbiamo internet al computer, molti ce l’hanno anche nello smartphone, di informazioni ne abbiamo fin troppe, la qualità spesso è bassa, si tende a leggere solo i titoli e una decina di righe max dell’articolo.
Se dobbiamo decidere di andare in un ristorante spesso diamo un’occhiata sullo smartphone il voto assegnato da tripadvisor, o se vogliamo andare ad una sagra vediamo cosa offre il sito specifico della provincia ove siamo diretti.
Siamo per così dire “delicatamente guidati” verso opzioni già preconfezionate, ci sono programmi di landing pages, web marketing o marketing automation, lavorano silenziosamente per noi mentre navighiamo e state pur certi che sceglieremo quello che gli specialisti del settore hanno già deciso.
Un link fra tanti per eventuali approfondimenti : http://www.web2emotions.com/visibilita/motori-ricerca/landing-pages.php
Occorre prima di tutto prendere atto che i metodi per prendere decisioni sono cambiati e quello della rete è diventato prevalente, quindi o ci si confronta con essa e le sue regole, o ne subiremo i suoi effetti.
Supponiamo che a Castelfiorentino (FI) si decida di organizzare una nuova festa ad es. dell’insalata ricciola e per una volta la si voglia promuovere solo con la rete, quindi senza stampe di carta da distribuire nelle varie pro-loco dell’empolese, peraltro non molto visitate, e si utilizzino i sistemi innovativi sopra menzionati, avremo minori costi pubblicitari, e questo andrà a beneficio della struttura organizzativa, quindi più curata; pensate che senza le stampe dei cartacei verrà meno gente ?
Si tratta di provare, del resto ce lo chiedono la crisi e la necessità di trovare aree di sviluppo alternative a quelle esistenti, e se eccellenze come il Boccaccio a Certaldo e le torri a San Gimignano non le abbiamo dovremo inventarcele.
Non devono essere negative come al Giglio il relitto della Costa Concordia !
Quando avremo le eccellenze su cui puntare dovremo poi lavorare molto sulla comunicazione tra cittadini, associazioni, istituzioni al fine di eliminare le sovrapposizioni e migliorare l’informazione reciproca sui progetti per il paese.