La coltivazione elementare nel 2023


La coltivazione elementare nel 2023

Da circa dieci anni (più o meno da quando ho aperto il blog) ho un piccolo orto sociale di circa 50 mq. Durante questo periodo ho seguito corsi di orto sinergico, permacultura e sperimentato varie tecniche produttive sempre orientate al minor impatto ambientale possibile.

Da qualche mese mi si è presentata l’opportunità di poter gestire un terreno agricolo inutilizzato appartenente ad un amico.

Il terreno ha una superficie di 3.000 mq, ma non ha il pozzo dell’acqua e in un primo momento la possibilità di realizzarci un orto poteva sembrare ardua.

Mi sono procurato dei libri con metodi di coltivazione biologica:

La cura della terra di Francesca Della Giovanpaola e La civiltà dell’orto di Gian Carlo Cappello

Ho iniziato a recintare circa duecento metri quadrati lasciando libero il terreno rimanente e riguardo all’acqua, poiché il terreno dispone di un capanno con gronde, ho predisposto una cisterna per la raccolta delle acque piovane al fine di sopperire in caso di lunghi periodi di siccità.

I proverbi toscani scoraggiano chi intende avvicinarsi alla coltivazione di terreni; cito due dei più famosi:

– La terra è bassa.

– L’orto vuole l’omo morto.

La tecnica che sto adottando nel nuovo orto nei duecento mq è quella della coltivazione elementare, e… udite udite! Con questo metodo non si vanga, non si zappa il terreno e sembra che richieda anche pochissime innaffiature.

Per iniziare mi sono procurato delle rotoballe di fieno, ho calpestato l’erba senza estirparla e su questa ho disteso il fieno per un’altezza di circa 25 cm.

L’erba coperta dal fieno tende a marcire e richiama i lombrichi, si forma così uno strato di terra abbastanza umida e morbida ideale per ricevere le piantine da orto.

Con le mani ci si fa spazio nello strato di fieno, si affondano un poco le piantine nella terra e si richiude il foro nel fieno lasciando un po’ di spazio intorno alla pianta. Per il mantenimento del fieno occorre sempre usare un forcone, quando le erbe sottostanti si affacciano di nuovo fra il fieno occorre smuoverlo e sollevandolo lo si fa ricadere sopra le erbe e queste vengono soffocate di nuovo.

Lo scopo di questa coltivazione è quello di integrare le nuove piante con l’ambiente.

All’inizio ci mettono un po’ più di tempo a dare dei risultati rispetto all’orto tradizionale, ma piano piano completano lo sviluppo, vanno in produzione e durano anche più a lungo poiché risentono meno degli eventuali sbalzi di temperatura.

C’è da fare una considerazione rispetto all’orto tradizionale, ed è quella della superficie necessaria ad una famiglia; si potrebbe obiettare infatti che è necessaria una superficie maggiore con la coltivazione elementare di Gian Carlo Cappello.

Occorre però conoscere in quale contesto sono nati gli orti sociali e come nel tempo si sono modificati.

L’orto sociale in Italia nasce nel dopoguerra, li chiamavano infatti “orti di guerra” e si svilupparono per dare sostegno nelle famiglie con difficoltà durante il periodo post-bellico.

Con il tempo poi sono cambiate le tecniche di produzione, concimazione, lotta agli insetti dannosi, alle malerbe (così vengono ancora oggi definite quelle erbe dannose alle piante).

Negli anni con l’aiuto di numerosi prodotti si possono ottenere molti kg di verdure anche in pochi metri quadrati di terreno.

La coltivazione elementare invece non utilizza concimi essendo il fieno di per se’ un materiale che contiene sostanze utili alla crescita e sviluppo delle verdure, occorre però più spazio per le piante.

Proprio in questo periodo nel comune dove abito stanno edificando immobili negli spazi dove c’erano gli orti sociali.

Il comune ha acquistato un grande appezzamento di terreno sembra allo scopo di trasferire gli orti sociali rimasti.

Questa potrebbe essere l’occasione per diffondere il metodo di coltivazione di un orto senza aver bisogno di impianti di irrigazione, vista la sempre crescente carenza di acqua.

L’ultimo regolamento degli orti sociali risale a quasi venticinque anni fa e forse necessita di una revisione alla luce delle nuove esigenze della comunità.

Ogni cittadino singolarmente può fare tanto individualmente in ogni sua azione, anche solo quando va a fare la spesa.

Quando si riunisce con altri cittadini per interessi comuni allora si forma quel senso di comunità così bello e vero tanto da travalicare ogni confine.

L’ultimo mio articolo in questo blog è di oltre un anno fa, lo scrissi pochi giorni dopo l’inizio delle guerra in Ucraina, come se avessi immaginato il protrarsi dei combattimenti.

Il martellare quotidiano delle notizie mi ha costretto indirettamente a una sorta di silenzio stampa.

Mi era passata la voglia di scrivere nel blog.

In realtà ho scritto moltissimo, ma non avevo voglia di condividerlo.

Solo oggi, spinto dall’irrefrenabile voglia di lasciare qualcosa di utile per gli altri, mi son deciso a raccontare questa mia avventura che spero continui e prosperi.

Dedicato a …


Dedicato a …

In questa società democratica e libera abbiamo a disposizione i social per condividere i propri pensieri, quelli delle persone da noi ritenute sagge o magari solo molto simpatiche.

Ho condiviso tempo fa un vademecum sulle regole da seguire quando si pubblicano i post; l’avevo ritenuto utile in questo periodo molto particolare.

Non lo commentò nessuno. Magari non l’ha letto nessuno, oppure chi l’ha letto l’ha ritenuto di poco conto, o non ha seguito i consigli.

Lo condivido di nuovo con questa introduzione, per motivarne la lettura e nella speranza possa servire.

Mi capita di imbattermi in post faziosi o in commenti ostili e li trovo abbastanza fastidiosi.

Ci sono perfino atteggiamenti molto simili alle ostilità tipiche della guerra.

Mi chiedo; come mai tendiamo a comportarci come se fossimo in guerra anche se la guerra non c’è?

Vorrei provare ad analizzare il comportamento di questi commentatori seriali.

La prima ipotesi è che ognuno di noi è stato educato nella “specializzazione” ci hanno insegnato a fare bene una cosa, portarla a termine, ricevere un compenso, gratificarsi di quella poca cosa con le persone care e difendere a denti stretti la ricchezza conquistata.

Ecco che ogni minaccia che vede intaccare il piccolo paradiso sarà osteggiata senza pietà.

Da ciò discende la lotta al diverso, la ricerca del nemico, del colpevole, dell’intruso.

Perché tanti commentatori seriali si affannano a individuare e colpire i pensatori liberi e considerarli problemi da risolvere? Come mai tentano di portarli alla loro ragione anziché concentrarsi sulla soluzione del problema?

La spiegazione è semplice, il commentatore seriale è armato di visione limitata e quasi sempre di parte. La mattina quando si alzano sanno già cosa dire e cioè quello in cui credono e hanno sempre sostenuto.

Ogni cosa nuova è falsa a prescindere, perché diversa dalla loro.

Quindi, cari commentatori seriali, a meno che non siate detentori della Verità Assoluta per favore fatela finita di commentare sbocconcellando briciole della vostra verità, denigrando persone che hanno speso la vita intera per far comprendere all’umanità i limiti della scienza.

La scienza non è infallibile e questa è storia.

La seconda ipotesi è che il commentatore seriale si comporta così perché pensa che negare la realtà forse lo rende migliore.

Io non sono migliore di voi scrivendo questo post, ma c’è un limite a tutto.

Lo chiedo per favore, in punta di piedi, su una mattonella di umiltà.

Cambiate atteggiamento, e leggete bene le regole suggerite e aggiungete una undicesima, quella dei dieci secondi prima di cliccare il tasto “pubblica”.

p.s. dopo la pubblicazione in rete il decalogo è stato modificato dall’autore al punto 9 è diventato : non amplificare chi semina odio e falsità

Immaginare il dopo-coronavirus


Immaginare il dopo-coronavirus – la forza della speranza / riusciamo a sognare un futuro?

 

Non posso scrivere sul coronavirus, ci penseranno gli storici.

Non posso chiedermi cosa e perché è iniziato, è compito degli investigatori scientifici.

Non posso confezionare un vaccino per salvare vite umane, è compito dei virologi e ricercatori.

Non posso fare previsioni sulla fine dell’epidemia, non sono un indovino.

Non voglio mettermi a contare i morti, i positivi, i contagiati

Non voglio escogitare un metodo per controllare gli spostamenti dei contagiati, i modi ci sono, saranno invasivi sulla privacy, ma si spera possano essere temporanei

Per ogni cosa è stato individuato un esperto e se l’esperto ha fallito o fallirà, ci sono già pronti gli avvocati come nel caso del Pio Albergo Trivulzio

Rimaniamo tutti a casa, ci dicono di stare a casa, in queste isole protette, ma intanto si insinua in me una sorta di inutilità, di inadeguatezza.

Posso provare ad aiutare le persone che ora leggono queste righe.

Cosa posso fare se non sognare, immaginare il dopo, senza coronavirus. Come sarà il dopo, prima di tutto, quanti saremo? Chi rimarrà? Ce la faremo? Cosa cambierà nei rapporti? Riusciremo ancora a stringerci la mano o dovremo comportarci come i freddi popoli anglosassoni sempre restii a toccarsi? E quelli guariti? Chi sono? Perché invece di contare i morti non si incoraggia i guariti a togliersi il bavaglio e fra di loro gioire come non hanno mai fatto nella loro vita, abbracciarsi, invece di versare offerte di denaro in uno squallido numero di c/c.

Ho trovato una foto degli anni 20 quando la spagnola ha falcidiato in Europa milioni di persone. Nella foto la famiglia è stata immortalata con la mascherina, una signora ha in braccio un gattino, anche il gatto provvisto di mascherina!

Chissà che risate faranno i posteri se troveranno le foto della massaia con la mascherina ricavata da una spugna per lavare i piatti o da una grande costola esterna di finocchio.

Se fossi un marziano in visita sulla terra oggi, cosa potrei chiedere all’umanità?

– perché avete tanta paura di morire? Non è forse la morte parte della vita? È proprio vero, ci sono cose che voi umani non potete nemmeno immaginare!-

Forse è capitato a ognuno di noi un momento della vita, molto particolare nel quale abbiamo dovuto reinventarci, fare tabula rasa delle abitudini, magari solo di una, importante per noi.

Ricordate quel momento? Deve essere stato molto brutto, si sono scatenate le emozioni, ma poi il dopo come è stato? Mi immagino deve essere stato un momento difficile.

Sono certo che avete fatto tesoro dell’esperienza.

Ma questo Covid-19 non è forse una esperienza? Ma il dopo non dipende forse da noi?

Una casa solida si costruisce su solide fondamenta. Quali sono i presupposti per il nostro “dopo”?

Come vogliamo che sia?

Riflessioni su esperienze di viaggio


Riflessioni su esperienze di viaggio

A me piace tanto viaggiare, ora che sono costretto nelle quattro mura domestiche per il coronavirus, viaggio con la fantasia nei luoghi visitati in passato, mi sembra ancora di essere in quei luoghi e mi lascio sedurre da una serena beatitudine, mentre ricordi annebbiati si mescolano a riflessioni nitide, deduzioni lampanti, soluzioni futuristiche.

Il viaggio in Giordania

Nel 2012 mia moglie ed io abbiamo festeggiato il venticinquesimo di matrimonio con un viaggio in Giordania. È stata una bellissima esperienza poter conoscere luoghi splendidi, ma soprattutto l’incontro delle persone, respirare il soffio delle loro tradizioni e della loro storia.

Tra i fotogrammi che mi scorrono nella mente ce n’è uno di una sera in Giordania nella capitale Amman.

Quella sera il sole del deserto annunciava il solito bellissimo tramonto mentre si mescolava con il cielo di Amman, una grande bolla di abitazioni, edifici, costruzioni del diametro di quasi cento chilometri, accerchiata dal deserto giordano.

Avevamo il pomeriggio e serata liberi, con un’altra coppia decidemmo di andare in centro e cenare in un ristorante.

Il fatto di essere in quattro ci dava maggiore sicurezza, ma mia moglie ed io ne avevamo fin troppa perché nel primissimo pomeriggio avevamo preso un taxi dell’albergo e il taxista ci aveva accompagnato in giro per Amman, mentre l’altra coppia era rimasta in albergo.

Con un taxi ce ne andammo tutti insieme verso il centro, la cena al ristorante fu ottima e visto che era abbastanza presto per rientrare in albergo, decidemmo di andarcene in giro per la città non ricordo nemmeno cosa esattamente cercavamo, ma ci ritrovammo in un luogo poco frequentato, quasi deserto, non c’era nessuno in giro al quale chiedere come raggiungere la strada centrale dalla quale passavano molti taxi. La cartina della città era quasi inutile nelle stradine poco illuminate e non sapevamo più da che parte andare.

L’incontro di tre giovani fu provvidenziale, parlavano bene inglese, ci dissero di scendere delle scale e continuare a scendere sempre fino alla strada, poi da lì proseguire.

Seguimmo l’indicazione, ma con qualche perplessità, delle scale non si vedeva la fine e non erano nemmeno tanto illuminate, poi stranamente i giovani ci seguivano.

Continuavamo a scendere e i tre giovani ancora dietro, poi mi voltai per chiedere loro perché ci seguissero e loro aggiunsero che stava loro a cuore la nostra incolumità e volevano accertarsi che non sbagliassimo strada.

Tutto questo era una conferma della nostra guida, ci aveva detto che nessun turista mai in Giordania ha avuto problemi nei tanti anni di servizio come guida, o subito furti, e se mai li avesse avuti o li avessimo noi, sarebbe stata sua premura personale di rimborsare l’intero viaggio.

Certo un conto è ascoltare le informazioni a parole, altro fatto è viverle. Nel nostro caso continuavamo a scendere le scale più tranquilli.

Infine arrivammo alla strada principale, la riconobbi, c’eravamo passati prima con il taxi, eravamo vicini al luogo indicati e a poche centinaia di metri dalla luogo dove fermano i taxi.

Ecco a un certo momento si avvicinò un uomo sui cinquanta anni, vestito alla maniera occidentale, anche se con i lineamenti arabi. Ci aveva seguito e aveva compreso la nostra nazionalità, iniziò a parlarci in italiano, non perfetto, ma comprensibile, chiedendo, supplicando che lo ascoltassimo.

Dapprima si scusò, non una, molte volte della sua intrusione. La coppia che era con noi non appena realizzò le intenzioni dell’uomo, accelerò il passo forse per non trovarsi coinvolta in discussioni.

Solo io ero rimasto indietro, ascoltavo l’uomo, mi raccontava di essere stato in Italia a lavorare, in Umbria in provincia di Perugia, di avere imparato un poco di italiano, ma che ora la sua famiglia versava in gravi condizioni, in Italia non aveva trovato lavori che gli permettessero di inviare denaro a casa, dopo qualche anno se ne era tornato a casa.

Mi stava chiedendo l’elemosina.

La guida ci aveva spiegato con un certo orgoglio che in Giordania non troveremo per strada nessuno che chiede elemosina. Anche se il paese non può essere annoverato tra i paesi ricchi, loro non hanno pozzi petroliferi, hanno il 70% di territorio desertico, ma per la qualità del servizio sanitario sono definiti la Svizzera del medio-oriente, l’istruzione è obbligatoria, tutti i giovani devono conoscere l’inglese e l’uso dell’informatica, ma la cosa più interessante è quella che obbliga i ricchi e dare ai poveri in modo tale che di poveri non ce ne debbano essere, mai.

Quell’uomo si era scusato più volte, forse aveva paura di essere punito per aver chiesto denaro a stranieri. Lo ascoltai, non feci nulla, mi scusai a mia volta, non me la sentii di aiutarlo, non volli farlo, il suo volto, la testa leggermente china, gli occhi semichiusi rivolti verso il basso, la voce tremolante, mi accompagnano in questi giorni.

Le riflessioni nel 2020

Questo periodo di pandemia con conseguente fermo nelle proprie abitazioni cosa potrà insegnarci? Quali sono i messaggi per la collettività? Come potranno i cittadini trovare beneficio dalle conseguenze nefaste della pandemia come la morte dei propri cari?

Cosa rimane delle nostre esperienze?

Cosa rimane della lettura di un libro, di un viaggio, di una serata a teatro, dell’incontro di una persona?

Quanto tempo occorre perché certe esperienze abbiano un effetto?

Il nostro animo è predisposto ad accogliere queste esperienze?

Credo che tutto dipenda da noi, da quello che possiamo o vogliamo trovare e cambia da persona a persona. Poi ci sono i momenti in cui siamo più o meno predisposti ad accogliere e altri meno. Infine ci sono i momenti in cui il pensiero viaggia verso l’interno , verso noi stessi.

Quando penso alle esperienze passate, cerco di riviverle, esaminarle con occhio attento, cerco di capire come possono essere usate ora, in questo momento cruciale, penso a quanti non hanno casa e non possono chiudersi tra le quattro mura, dove sono adesso?

Chi se ne sta prendendo cura?

Dove sono i poveri in Italia?

Perché come in Giordania non obblighiamo i ricchi a dare ai poveri?

Pensiamo basti davvero far pagare una “flat tax” per sistemare le cose?

Potrà servire a questo punto il coronavirus per migliorare un poco il tenore di vita degli italiani che versano in condizioni simili a quella dell’uomo incontrato in Giordania?

Ma sono solo io che mi faccio queste domande?

Perché rubi??


 

 

 

 

 

 

Perché rubi  ?

Essere o non essere? Denunciare o non denunciare, questo è il dilemma.

Far sapere allo Stato del furto subito o silenziosamente subire e accusare il colpo?

Mi era già successo e ci sono ricascato, nello stesso modo, come quando si fa un errore due volte, non si è imparato nulla.

La prima volta molti anni fa, davanti casa mi avevano rubato l’auto, l’avevo lasciata aperta.

Ho ripetuto l’errore lo scorso sabato mattina, giorno di mercato, ero tornato dall’orto, avevo lasciato aperta l’auto davanti casa per scaricare e mi era poi rimasta aperta.

Il sabato ci sono occasioni ghiotte, anziani a fare la spesa lasciano in vista portamonete nelle borse, c’è confusione, un terreno facile anche per auto incustodite.

È stato il momento adatto anche per introdursi nella mia auto rubare il navigatore e gli occhiali da sole.

La fiducia negli altri è una incognita misteriosa, per ognuno è diversa.

Ora ditemi pure che sono un bischero a lasciare la macchina aperta con oggetti di valore dentro.

Con il navigatore di dieci anni fa son più le volte che mi sono perso di quelle che mi ha portato nel posto giusto; mi spiace per il valore dovendolo ricomprare, ma mi rincresce più per gli occhiali, erano quelli di scorta, dei vecchi Persol vintage anni ‘80.

Ma mi voglio rivolgere a te, ladro, e ti voglio fare la domanda:

– perché rubi? Come mai ti attacchi a oggetti personali con valori esigui? Lo sai di essere un ladro di polli, non ti aiuterà molto quello che mi hai sottratto. Se ti è servito per esercitarti, devi sapere che stai perdendo la dignità. Non sei in grado di provvedere alla tua vita senza ricorrere ai beni di proprietà altrui, questo non è bene. Sei sicuro di aver fatto tutti i tentativi?

Se è la povertà che ti ha spinto ad agire così, sappi che persone molto più cattive di me si stanno organizzando per farla pagare a chi ruba.

Sappi anche che rischi molto in rapporto a quanto rubi, perché quelli che rubano miliardi, spesso non vanno nemmeno in galera. Quelli come te se presi in flagrante o visti con una telecamera, li sbattono dentro e dopo sarai segnato per sempre.

Se sei un ladro che lo fa di lavoro, ti ringrazio perché hai preso due cose senza rompere nulla, mi hai lasciato un poco in disordine, ma va bene, ci ho messo due minuti a rimettere a posto.

Voglio aggiungere che la prossima volta troverai ancora l’auto aperta, cercherò di non lasciare niente di interessante, e allora ti prego non spaccare nulla, fai conto che quella sia la tua auto.

Può darsi tu sia curioso e voglia chiedermi come mai lascerò l’auto aperta.

Voglio dirtelo, sai, sono convinto che viviamo meglio senza preoccupazioni, io non voglio proprio averle, voglio pensare che non debbano esserci ladri, perché il tuo non è un mestiere, è un lavoro sporco, fuori della legalità, pieno di rischi, sono quasi convinto che hai dovuto sceglierlo, e non ti piace.

Come nelle malattie cerco di prevenire invece di curare. Quello che sto facendo è pura prevenzione, la prevenzione non si fa mettendo barricate, ma facendo domande.

Non voglio che tu mi risponda, sarei felice tu possa leggerle e che ti possano aiutare a comprendere.

Voglio aggiungere che non farò nemmeno la denuncia; non trovo più la scatola del navigatore di dieci anni fa e senza la matricola è inutile, poi i Persol tigrati, non sono un pezzo unico, ma abbastanza raro poi di colore verde, e non si vede nessuno con occhiali del genere a giro, li riconoscerei tra mille.

Una cosa voglio dirti: sarebbe spiacevole incontrarti con i miei occhiali.

 

RECUPERO


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RECUPERO

Ho visitato la fortezza vecchia della città di Livorno, la mia prima visita in quei luoghi.

Prima di quel giorno, non avevo la minima idea di che cosa potesse contenere, altre visite, non per turismo, osservavo la fortezza e non mi sono nemmeno mai chiesto se la si potesse visitare.

Nella salita fino alla rocca ho incrociato una signora, questa stranamente mi ha parlato, e scosso la testa.

Mi ha indicato un cumulo di sassi e iniziato a parlare di quel luogo, molto bello, ma secondo lei lasciato andare.

Sassi vicino alla torre, caduti in un’area delimitata ove è interdetto l’accesso ai visitatori.

Nessun danno alle persone fisiche, ma un segnale di aiuto lanciato da un immobile di antiche origini.

Più i luoghi sono grandi e più hanno difficoltà ad essere mantenuti.

Troppo preso ad osservare il panorama, non li avevo notati.

La signora mi ha raccontato di essere livornese, ma quel giorno anche lei nella sua prima visita si era spinta fino alla rocca.

Altre volte invece aveva visitato i paraggi della fortezza, in occasione di eventi.

Ho fatto un tentativo per capire come mai la signora era così sconsolata per quello stato dei luoghi livornesi. L’esca funziona quasi sempre, una affermazione generica dell’orto del vicino è sempre più bello. Ho fatto l’esempio dei giardini francesi di Versailles, visti da entrambi, e dopo esclamazioni di gioia l’ho ricondotta alla realtà.

Le ho fatto notare le nostre buffe rivalità toscane dei paeselli e capannelli, hanno storie ataviche, risalgono alla notte dei tempi, come quelle tra Pisa e Livorno.

Le ho raccontato di miei incontri con francesi i quali hanno manifestato la loro meraviglia per certe cose che secondo loro noi riusciamo a fare meglio. Infine ho introdotto un diverso punto di vista iniziato a parlare di aspettative, tra quello che abbiamo e quello che vorremmo.

Noi stiamo sempre nel mezzo e non siamo mai contenti.

La signora ha insistito sulla necessità di mantenere i propri luoghi in modo decente.

Le ho spiegato che molte cose possono dipendere anche dai “volumi” ad esempio dal numero dei visitatori di un luogo, e non è solo un problema di denaro.

Se ad esempio alla fortezza vecchia venissero ogni giorno 800 o 1.000 persone di sicuro chi si occupa della manutenzione dei luoghi o chi ne ha la gestione si prenderebbe a cuore la sistemazione degli stessi, quindi la prima cosa dovrebbe essere di acquisire una maggiore consapevolezza di quello che abbiamo.

Ora il punto è chi deve fare cosa.

La ho chiesto se devono intervenire gli amministratori del comune, una fondazione o i cittadini a richiederlo, e non ha saputo rispondermi.

Se non ci sono domande, non ci saranno risposte.

Cosa dobbiamo fare per meritarci luoghi più belli ?

Prima di tutto occorre capire di chi sono. Ci sono anche tanti luoghi privati ove gli stessi proprietari non sono in grado di mantenerli e alla fine crollano insieme al disappunto dei cittadini.

Come quando si suicida un condomino e tutti affermano che non aveva dato nessun segno particolare. Magari lo aveva dato, ma nessuno lo aveva capito.

Una caduta di sassi è un segnale e chissà se qualcuno ne coglierà la portata.

Quando si parla di recupero di luoghi storici l’argomento è spinoso, è più facile nominare un elenco di presunti colpevoli che trovare le soluzioni.

Ancora una volta le soluzioni ce le abbiamo già.

Le persone comuni, quando richiedono una attenzione particolare ai loro luoghi, sono le prime a potersi fare carico di azioni di recupero, non chiaramente andando a mettere mestolate di calcina sui muri della torre, ma cercando anche solo di “vivere” quei luoghi, condividerne sui social alcuni scorci o angoli da valorizzare, o qualsiasi altra cosa utile allo scopo.

Buon lavoro a chi vorrà cimentarsi in questa attività.

MORTE


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MORTE

Ogni tanto ne parlavamo in casa. L’argomento era tabù, anche se non di frequente qualcuno parlava di Gisella. Il suo nome evocava ricordi, e quindi la sua fine. Aveva cinque anni quando le diagnosticarono la leucemia. Negli anni ‘60 l’evolversi di quella malattia aveva un solo effetto nefasto : la morte. Il corpicino di Gisella non fece in tempo ad accorgersi della malattia e dei tentativi di cura. La morte arrivò in punta di piedi e se la portò via.
I genitori avevano capito che per la loro figlia non c’era scampo. Gli amici, i parenti cercavano di metabolizzare quella perdita. Fu così che mi ritrovai in casa tante foto dell’amica, compagna di giochi. Nelle foto in mio possesso era stata sorpresa in sorrisi, mentre guardavo quei pezzetti di carta riaffioravano i ricordi. Le foto erano state sistemate con quelle dei familiari, dei nonni e bisnonni, di eroi locali delle due guerre.
Lei così giovane in compagnia di altre foto molto datate, ora avevano qualcosa in comune, nessuno di loro era ancora in vita.
Il concetto nuovo finora mai sviscerato era la morte.
Quando pensi che l’esperienze possano averti già fatto vivere momenti molto difficili e per certi versi da dimenticare, ecco che ti arriva l’ennesima batosta fra capo e collo. Il destino non ti avverte e ti becchi l’impreparato come quando a scuola non avevi fatto le lezioni. Non ci sono scuse.
Di fronte a problemi molti grandi, se possiamo giriamo tutti al largo, e di fronte all’argomento morte …. giro molto largo ! La morte è una delle paure più grandi e già parlarne crea fastidio.
Pochi scrivono di morte. Forse per tenerla lontana, forse per paura, gli scrittori preferiscono trattare altri temi.
La prima cosa che occorre è un gran rispetto, il primo gesto dovrebbe essere come quando si entra in chiesa con il cappello. Occorre toglierselo.
Così a parlare di morte mi verrebbe naturale abbassare i toni e parlare sottovoce, come voler far intendere solo a coloro che vogliono veramente ascoltare e hanno provveduto a zittire i brusii del cuore e della mente.
Se devi andare in montagna a sciare, prima di partire puoi andare in palestra e chiedere una preparazione di ginnastica presciistica; è molto utile per evitare infortuni. Per la morte non ci sono esercizi preparatori, non servono, e parlarne porta solo sfiga.
Quindi cosa farete ? Interromperete questa lettura ? Non siete curiosi di sapere dove vi porterà ?
Riaffiorano i ricordi di Gisella, le foto in bianco e nero sbiadite, i giochi insieme con i secchielli, il vuoto del suo posto a tavola.
E sono ancora lì in una situazione che non mi aiuta, la analizzo, gli do un nome, si chiama “attaccamento”.
Mi sto attaccando a qualcosa che non c’è più, a momenti che non possono ritornare, e non mi servono, non sono utili a chi legge, non servono a nessuno.
So che non devo dimenticare, ma devo smetterla di stare nell’attaccamento.
Finalmente godo della mia situazione, ne ho piena consapevolezza, non posso spiegare come si vince la paura della morte, ma si possono limitare le ripercussioni sul nostro vivere.
Ma non per tutti avviene quel che è accaduto a me.
Tra chi legge queste righe magari pensa ad un proprio caro deceduto, ed è vicino, quasi lo possono toccare, gli parlano, hanno vestiti, scarpe, la voce risuona nelle menti. Fantasie molto precise, ma inutili.
No, non me lo chiedete ! Solo voi sapete come fare, nelle vostre menti una complicata caccia al tesoro, la soluzione in un bigliettino ripiegato decine di volte. Dovrete aprirlo e leggerla ad alta voce. Avete già la soluzione, ce l’avete dentro.
Il premio della caccia al tesoro è un fiume di soddisfazioni.
Quei fantasmi di morti sono la palla di piombo incatenata degli schiavisti.
E’ affar vostro decidere come volete vivere la vostra vita, e non devono essere eventi esterni a deciderne le pieghe e gli sviluppi.
Ogni giorno possiamo girare una pagina del film della nostra vita.

SENZA BIGLIETTO


biglietto-da-visita

SENZA BIGLIETTO

Sono passati quasi venti anni dal primo corso di informatica. Lo chiamavano così l’approccio alla rete, alla navigazione internet a 4800 k/sec, i primi browser, la posta elettronica di Eudora, bei ricordi.
Non esistevano, o erano molto rari gli esperti di database, web editor, web marketing, programmatori html ecc.
A quei tempi c’erano i bigliettini da visita. Dovevi averne uno colorato, la grafica era fondamentale, pochi dati ma essenziali, guai a non avere il cellulare, la mail non tutti ce l’avevano.
La cosa migliore avere qualcosa che lo differenziava, come alcune parti lucide o dei forellini a formare il logo di un’immagine o un disegno in rilievo ; allora quella era un perla e rappresentava valore aggiunto.
C’era chi si faceva anche mettere la foto e allora lo avrei mandato dallo psicologo.
In generale si preferiva vedere la gente in faccia, ascoltarsi, piacersi e finalmente stringersi calorosamente la mano.
Ne è passata di acqua sotto a ponti.
Sono qui.
Con un sito internet a presentare docenti con idee nuove e meno nuove, a dare opportunità a giovani e meno giovani, contattare agenzie formative con i loro enormi bacini di utenze.
Sono senza biglietto, non l’ho proprio fatto, ma sto comunque navigando anzi se mi state leggendo anche voi ci incontreremo.
Possiamo farlo.
Anzi, come dice un mio amico blogger :
– celapossiamofare –

GRU


gru

 

 
GRU

Le alte torri metalliche sembravano ghermire gli immobili della città.
Si poteva tentare di contarle, ma erano troppe.
Erano gli anni del boom edilizio.
Se ci fosse stato materiale meno costoso della sabbia, l’avrebbero usato.
Il lavoro c’era per tutti e faceva percepire sicurezza.
Italiani e giapponesi, i grandi risparmiatori (forse perché avevano perso la guerra ?)
I risparmi spesso convogliati verso l’acquisto di case di proprietà alimentavano il mercato immobiliare.
I mostri d’acciaio protesi a convogliare cemento nei posti giusti rappresentavano l’indice di operosità di un territorio.
Se c’erano gru, voleva dire che c’era lavoro e quindi benessere.
Le gru non hanno avuto molti figli.
Mentre crescevano palazzi in ogni direzione le gru sono quasi scomparse.
Un animale in via di estinzione.
Ci pervade un po’ di nostalgia per quei momenti di intense attività immobiliari.
Vorremmo ritornare a quel benessere diffuso.
Come ha potuto il prodotto di quelle gru elargire tanto benessere ?
Cosa ci è rimasto adesso ?
Nessuno nutre ora le poche gru rimaste.
Quei pilastri di metallo non sputeranno più grandi quantità di cemento sul nostro pianeta.
Sono solo riflessioni alla ricerca di crescite alternative, senza ….gru !

UMILE


alfabetoImg da web

Lezioni per le vacanze : “finire il sillabario di Parise”

Ecco la U !

UMILE

La voce, nel caso di Luigi, rappresenta un punto fermo nel suo carattere.

Flebile, ma decisa. Melodiosa senza essere monotona. Suadente, ma non troppo.

Il sorriso sincero e mai sforzato.

Quando parla con persone, le guarda in faccia, rilassato, ogni tanto abbassa la testa come per proteggersi dagli sguardi altrui.

Se ha ragione, fa di tutto affinché siano gli altri ad attribuirla.

Non l’ho mai visto porsi in posizione di superiorità o di sfida verso gli altri.

Anche se il suo modo di fare può sembrare debole, il suo comportamento è molto ammirato.

Luigi è temuto, senza essere un duro.

Non so quanti vorrebbero avere la sua forza, tenacia, sicurezza.

Nessuno capisce dove Luigi trova queste qualità.

Quando i suoi amici trascorrono le giornate con lui, Luigi non dà a conoscere nulla di sé.

Sa di essere un modello per gli altri, ma non fa pesare questo suo ruolo.

Non è un capo, è solo una persona influente per la sua comunità.

Ce ne fossero come lui !

bambino-che-legge-ad-un-elefante

foto prelevata dal sito web http://lamenteemeravigliosa.it/lumilta-che-nasce-dal-cuore/#!kalooga-26318/umilt%C3%A0