Riflessioni sul coronavirus


Riflessioni sul coronavirus

In questo periodo di coronavirus si sente spesso parlare di “guerra” o di “nemico” come fossimo confinati in una trincea dalla quale è pericoloso alzare la testa.

Nessuno o pochi hanno parlato di accettazione della malattia, sì, perché il coronavirus l’ha contratto una piccola parte della popolazione e molti sono guariti, ma la possibilità di ammalarci potrebbe capitare a tutti. E se capitasse a noi? Abbiamo pensato a come reagire? Abbiamo provato ad immaginarlo?

Nei primi test di coronavirus i tempi di risposta delle analisi erano intorno alle 5 ore, ma in certi casi anche 24 e in questo lasso di tempo i malati nella paura di essere positivi avevano spesso aggravamento fino ad arrivare alla polmonite interstiziale che al momento del test non era presente.

La mente ha un ruolo fondamentale nelle fasi salienti della malattia.

Credo che l’accettazione sia la prima risposta necessaria al corpo e al nostro spirito per poter reagire. È noto che in situazioni di stress e paura, le difese immunitarie calano. È necessario non entrare nel panico.

Mentre siamo tutti confinati nelle proprie abitazioni, occorre utilizzare questo tempo per acquisire nuove conoscenze, ma soprattutto riprendere in mano i valori della socialità, dello stare insieme, fino a decidere di trovare insieme una soluzione.

In questo momento non ci può interessare come si è sviluppato il covid 19.

Pasolini diceva: – credo nella civiltà, non mi piace il progresso, questo progresso.-

Da oltre un secolo la crescita inarrestabile, il benessere e progressi scientifici hanno innalzato la vita media e il numero degli umani sul pianeta.

Come se il progresso avesse fabbricato un enorme jet supersonico; risulta evidente che un aereo è un prodigio della tecnica ed è fatto per volare, se lo tenessimo in un hangar ad arrugginire gli verrebbero procurati solo danni. Prima o poi dovremo impegnarci per farlo volare di nuovo, ma come?

Sto pensando anche a quanti soldi si risparmiano a stare tutti a casa, nessuno si muove da casa, lavora in smart-working, ma la nostra economia non è concepita per stare ferma e finirebbe come il jet supersonico.

Il coronavirus è stato definito “virus ubiquitario” significa in pratica che si trova dappertutto nello stesso tempo, non ce ne potremo liberare tanto velocemente.

Secondo alcuni esperti se si facessero analisi a tappeto a tutta la popolazione si potrebbero riscontrare dal 50% all’80% di positivi al virus.

Cercherò di andare oltre agli aspetti scientifici dei quali non sono esperto.

Quello che sembra voler provocare i coronavirus è il rallentamento dell’economia.

Nessuno riesce a fare previsioni su quanto durerà questo catastrofe.

Si possono fare solo confronti con le pandemie precedenti come la peste nera o la spagnola.

Questa volta non si tratta di una crisi finanziaria come quella del 1929 o del 2008, questa volta l’origine è la natura, la stessa alla quale apparteniamo.

Proprio mentre siamo a casa possiamo pensare a quando tutto questo finirà e immaginare come potrebbe essere un nuovo e diverso sviluppo mondiale. Forse allora molti comprenderanno il valore dei messaggi di Greta Thumberg, degli Extinction Rebellion e di altri numerosi gruppi con obiettivo la protezione e difesa dell’ambiente, dell’umanità intera, nati recentemente e ci saranno forse speranze per i Verdi di poter portare la loro voce nei luoghi dove si scrivono da sempre le regole della nostra comunità.

SCOMMESSE PERSE


SCOMMESSE PERSE

Perché giochi?
Non te lo sei mai chiesto,
ma se giochi ora,
ci sarà un motivo,
non hai giocato da piccolo
non ti sei confrontato con gli altri
non sei cresciuto dentro,
ora il gioco ti logora,
ti ha agguantato l’anima,
ora dimmi,
come andavi a matematica a scuola?
Lo sai, vero,
che chi gioca al lotto vince alle nove
che il gestore vincerà a prescindere
che la tua vittoria sarà come un malato grave
in un cimitero di sconfitte
che rovini la tua vita e la tua famiglia
e se non capisci cosa stai facendo
la tua energia vitale è la stessa di uno zombie.
Queste parole
saranno la tua medicina,
una medicina amara,
necessaria,
se davvero vuoi continuare a vivere.

GRU


gru

 

 
GRU

Le alte torri metalliche sembravano ghermire gli immobili della città.
Si poteva tentare di contarle, ma erano troppe.
Erano gli anni del boom edilizio.
Se ci fosse stato materiale meno costoso della sabbia, l’avrebbero usato.
Il lavoro c’era per tutti e faceva percepire sicurezza.
Italiani e giapponesi, i grandi risparmiatori (forse perché avevano perso la guerra ?)
I risparmi spesso convogliati verso l’acquisto di case di proprietà alimentavano il mercato immobiliare.
I mostri d’acciaio protesi a convogliare cemento nei posti giusti rappresentavano l’indice di operosità di un territorio.
Se c’erano gru, voleva dire che c’era lavoro e quindi benessere.
Le gru non hanno avuto molti figli.
Mentre crescevano palazzi in ogni direzione le gru sono quasi scomparse.
Un animale in via di estinzione.
Ci pervade un po’ di nostalgia per quei momenti di intense attività immobiliari.
Vorremmo ritornare a quel benessere diffuso.
Come ha potuto il prodotto di quelle gru elargire tanto benessere ?
Cosa ci è rimasto adesso ?
Nessuno nutre ora le poche gru rimaste.
Quei pilastri di metallo non sputeranno più grandi quantità di cemento sul nostro pianeta.
Sono solo riflessioni alla ricerca di crescite alternative, senza ….gru !

NATIVI DIGITALI


Toddler playing with laptop
Toddler playing with laptop

Img dal web

NATIVI DIGITALI E LAVORI SOCIALMENTE UTILI

Non sono un nativo digitale. Sono diventato un abbastanza digitale leggendo i libretti di istruzioni, o gli opuscoli di carta dove spiegano passo-passo come funziona il telefonino o il computer.
Pianino pianino mi son tuffato in questo mondo dove i bambini sono già digitali appena usciti dal grembo materno.
I nativi digitali sono i “millenial” e sono stati denominati la generazione Y.
Noi invece possiamo considerarci immigrati digitali con provenienza dall’analogico.
Chi volesse approfondire il significato di queste parole finora a me sconosciute, (nella rete si trova tutto) e a questi links forse trovate spiegazioni abbastanza approfondite :
http://www.previsionari.it/tag/millennials/
http://wearesocial.it/tag/millennials/
Non ho trovato molti approfondimenti su questo cambiamento epocale dei modi di apprendere.
In molti paesi nemmeno la scuola è stata in grado di gestire questa importante modifica della società.
Alcuni hanno cercato di utilizzare queste nuove potenzialità, ma non è stato facile.
Negli Stati Uniti è nato un movimento denominato Franklin Project con lo scopo di promuovere i lavori socialmente utili e vede positivo l’utilizzo dei Millenial.
Dopo l’11 settembre negli Usa non solo è stato ricostruito quanto distrutto, ma si è rafforzato il senso di comunità eroso nei decenni precedenti.
Nei principi fondanti della dichiarazione di indipendenza c’è infatti il diritto alla ricerca della felicità e non si riferiva al soddisfacimento del piacere privato, ma al diritto di costruire la propria vita all’interno di una comunità forte e vibrante.
Italia abbiamo nuove leggi che consentono di attivare come negli Usa i lavori socialmente utili, ad es. : http://www.vita.it/it/article/2015/07/15/lavori-socialmente-utili-in-cambio-delle-tasse/135946/
Siamo stati abituati a pensare la creatività come qualcosa legato alle predisposizioni artistiche come canto pittura o simili.
Quindi dipingiamo se ci sentiamo di dipingere, cantiamo se ci sentiamo di cantare, oppure scrivere se volete scrivere e qualunque altra cosa ancora. Qualunque lettera sia la vostra generazione (X Y o Z ) sappiate che ognuna di esse ha la necessità di non vedersi reprimere gli istinti creativi.
I nativi digitali sono già pronti per essere creativi, possono farlo in ogni loro attitudine.
Ogni passione si potrà trasformare in un lavoro.
Scegliamoci un nativo digitale e come ad un figlio adottivo dovremo dargli fiducia, forse non sarà facile, questa operazione potrebbe contrastare con i nostri valori.
I vantaggi saranno per entrambi, soprattutto in termini di soddisfazioni personali.
Se poi vi funziona…..fatemi un fischio !!! 🙂

p.s. la splendida foto del piccolo nativo digitale è stata gentilmente “prelevata” senza il consenso dal sito : http://dailystorm.it/2014/09/13/i-5-errori-digitali-i-vostri-pagheranno/
e date un occhio anche all’articolo molto premonitore.

FINANZA SOCIALE


finanza-sociale
Rif : img : http://www.west-info.eu/it/premio-giornalistico-finanza-per-il-sociale/

FINANZA SOCIALE

L’idea di scrivere questo articolo è nata dall’acqua e come l’uomo la gestisce.
Ho trovato poi delle similitudini con il denaro.
Ci sono luoghi comuni e idee sulla gestione dei beni a disposizione dell’umanità e che si estendono anche a quelli inventati dall’uomo.
Il luogo comune ad esempio del livello medio dell’acqua nei fiumi.
La credenza è che il livello si sia abbassato perché l’uomo ne ha utilizzata molta e c’è carenza di acqua. Falso ! O meglio …non esatto !
In questo modo si potrebbe far credere che l’acqua è stata consumata e il livello non si rialzerà più.
Non è esattamente così.
L’acqua c’è, la quantità che si vede è minore per il semplice fatto che … è stata imprigionata nei tubi. La somma di tutte le canalizzazioni, acquedotti ecc. assomma a quantità enormi, difficilmente misurabili.
Quindi l’acqua c’è, ma non è più accessibile.
Tutte le volte che l’uomo ha una carenza di un materiale si dovrebbe domandare come questo è stato gestito.
Per il denaro sta succedendo la stessa cosa.
I nostri nonni tenevano il “gruzzolo” sotto un mattone o cucito in un materasso, spesso non si fidavano nemmeno delle banche.
C’erano pochi soldi, ma se ce n’erano, un solo luogo dove trovarli ; era facile.
I luoghi sono aumentati, e quindi carte di credito ricaricabili, crediti telefonici, conti correnti, c/c postali e dossier titoli con dentro fondi, gestioni patrimoniali, sicav, poi chi crede di capire qualcosa in finanza si avventura in acquisti di azioni estere, covered warrant, obbligazioni corporate, bond, emessi in euro o valute estere.
Il denaro c’è, ma si sparge a macchia d’olio, da un lato si riduce il rischio che qualcuno ci sottragga il gruzzolo, dall’altro è abbastanza complicato tenerlo sotto controllo.
Ecco che siamo arrivati alla frutta, le banche ormai tendono a zero la remunerazione del c/c. Se negli anni 70 potevano lucrare sul differenziale di tutto rispetto tra il denaro in deposito e quello prestato, ora la forbice si è ridotta di molto. In Giappone questo succede da decenni.
Cosa si sta sviluppando anche in Italia ?
La finanza sociale, vorrei definirla Etica, ma le etichette mi piacciono poco. Bisognerebbe prima definire cosa è etico. Mi permetto di illustrarvi una rapida carrellata storica.
Un personaggio famoso è Muhammad Yunus con tanto di premio nobel riconosciuto nel 2006 per la creazione di un sistema di microcredito e per la fondazione della Grameen Bank nel 1976.
Lessi un libro di Junus molti anni fa, c’era il racconto della Grameen Bank con una situazione di estrema povertà in India. Il modello si diffuse poi in almeno 20 paesi in via di sviluppo.
Di sicuro quello fu un modo per far ripartire certe attività.
Il microcredito potrebbe diventare una modalità per favorire sviluppo o limitare le sacche di povertà che si diffondono sempre di più anche nel nostro paese.
Chi non ha accesso alla Banche, chi è costretto a ricorrere alla malavita organizzata o agli strozzini.
Più di recente mi sono capitati libri di Fatema Mernissi che raccontano di una gioventù marocchina che non va in depressione, naviga nel tempo e dal passato prende ciò che è necessario per inventarsi un futuro. In questa società il microcredito è diffuso e la “rete” funziona e dà sostegno a chi ne ha bisogno.
Capita anche da noi che persone necessitino per brevi periodi di piccole somme anche solo per riparare l’auto, o lavori straordinari alla propria casa.
Non dovrebbe sussistere vergogna per un cittadino italiano nel prestare denaro a chi ne ha bisogno usando i canali del microcredito. Non dovrebbe essere vergogna chiederlo per coloro che ne hanno bisogno.
Certe volte è dura ripartire da zero, ma diciamoci anche solo per farci un po’ di coraggio che allora potremo ripartire da TRE !
In rete per chi volesse approfondire queste le realtà che “sembrano” più conosciute dai motori di ricerca.
– Magverona (Mutua Autogestione)
– Etimos Foundation (altra realtà etica con attività in Italia a partire dal terremoto in Abruzzo)
– Banca Popolare Etica (nata dopo l’esperienza dei Mag)
Questi canali di microcredito non sono abbastanza diffusi, forse poco conosciuti. Forse manca solo un po’ di informazione.
Se riuscissero a diffondersi, occorre siano accompagnati da una sorta di certificazione che ne attesti l’estremo valore sociale. Chi li distribuisce e anche chi li userà sarà quindi consapevole della sua grandissima utilità sociale.

DAL MACELLO ALL’OSTELLO – parte seconda


ostello

img dal web

DAL MACELLO ALL’OSTELLO – parte seconda

Per molti anni il macello è rimasto chiuso e non avrebbe potuto fare altrettanto, negli anni 90 ci si mise l’encefalopatia spongiforme bovina, la selezione di razze produttive e conseguente crisi delle razze locali tradizionali, che rischiano di scomparire.
Quindi l’amministrazione cosa doveva farne di questo immobile se non un uso per la comunità ?
Ecco quindi il progetto di ristrutturare l’immobile e predisporre un ostello al suo posto.
C’era un finanziamento europeo e i costi sono stati ridotti.
L’ostello è stato appaltato per diversi anni e ha avuto un discreto numero di visitatori.
Ma andiamo un po’ a vedere la storia degli ostelli.
L’Ostello per la Gioventù è una particolare struttura ricettiva nata per i giovani, ma attualmente aperta a tutte le classi di età. Gli Ostelli per la Gioventù AIG si distinguono dall’albergo per alcune caratteristiche specifiche che questo tipo di struttura ha fin dall’apertura, nel 1909, del primo Ostello per la Gioventù in Germania, subito parte di questa singolare catena ricettiva. Tra queste spiccano la assoluta economicità e la presenza di molti spazi comuni per favorire la socializzazione, elemento fondamentale per una corretta educazione dei giovani.
Fu infatti un maestro, Richard Schirmann (1874-1961), ad impiegare per primo le aule delle scuole, inutilizzate durante le vacanze, come camerate con lo scopo di consentire anche agli studenti meno abbienti di muoversi al di fuori del proprio ambiente e prendere cosi’ contatto con gente e culture diverse dalla propria. Nella biografia di Richard Schirmann (Graham Heath: “Richard Schirmann – The first Youth Hosteller”, pubblicata dalla International Youth Hostel Federation – Hostelling International nel 1962), si citano le sue parole: «Mi sono reso conto che fare lezione camminando e cantando in una foresta è due volte meglio che in classe. In questo modo le lezioni di geografia e di storia naturale trovano la loro naturale applicazione. E quanta partecipazione di parte dei ragazzi!»
La storia degli ostelli inizia oltre un secolo fa, è cambiato molto da allora, in molti stanno cercando di riscriverla, togliendo o aggiungendo.
Addio alle camere per quattro e bagni in comune. Gli alloggi un tempo destinati a giovani squattrinati puntano al design e comfort.
L’associazione degli ostelli https://www.hihostels.com/ raggruppa 90 associazioni che rappresentano circa 5000 ostelli in 50 paesi nel mondo, tra questi la AIG Associazione italiana alberghi per la gioventù http://www.aighostels.it/it/ nata del 1945.
Ci sono siti internet specializzati che si preoccupano di classificarli e stilano graduatorie europee o mondiali.
http://www.italian.hostelworld.com/blog/hoscars-2014-gli-ostelli-piu-popolari-del-mondo/158088
Ci sono esempi in Italia di Ostelli ristrutturati e usati per molte altre attività, un es.
http://ostelloartemista.blogspot.it/
Avevamo un ostello nel nostro paese, da quale anno è chiuso.
L’amministrazione comunale non trova nessuno per gestirlo.
C’è un problema ? Qual è il problema ?
Un immobile prima o poi cadrà a pezzi se nessuno ci fa manutenzione, nessuno se lo prende in carico.
In un secondo momento e solo dopo c’è una minor entrata di affitti o rendita da gestione.
Prima di tutto occorre che la comunità del paese capisca che l’ostello è un modo per far arrivare visitatori nel paese, e questi possono far aumentare le entrate per i negozianti, potremo mostrare a più persone i nostri tesori di arte, paesaggi o altro.
Non è roba da poco !
Abbiamo visto che una struttura fine a sé stessa, slegata da AIG, non ha prodotto niente di buono, prezzi bassi, bassa qualità, è stato replicato lo standard degli ostelli vecchia maniera comunitari, per molti mesi rimaneva aperto senza che entrasse un solo ospite.
Quindi vista l’esperienza… possiamo replicare con altri gestori un sistema che non ha funzionato, oppure ripensarlo, in base al trend corrente di una accoglienza totale del turista, del viaggiatore, del francigeno, del turista mordi e fuggi, o dello stanziale offrendogli la possibilità di visitare le vicine città di Siena, Firenze, Pisa, Pistoia, Lucca, Arezzo tutte equidistanti da noi.
Ci potremo aggiungere servizi, opportunità, svaghi, feste, concerti, cocktail bar, come se ci fosse una festa tutto l’anno.
Ci sono anche trend vincenti come quello di http://generatorhostels.com/it/ dove la socializzazione è la parola d’ordine.
La domanda che ci dobbiamo porre è se veramente vogliamo una svolta, se ci crediamo davvero allora gli investimenti (attualmente assenti) dovrebbero arrivare.
Mi rendo conto dei limiti di un ostello lontano dalle città, non potremo mai avere quello che offrono gli ostelli di questo circuito :
http://plushostels.com/it/plusflorence con calcio balilla, wi-fi, aria condizionata, lenzuola incluse nel prezzo, stile glanour e molto social.
Oppure a Milano : http://www.ostellobello.com/it/servizi/ con prezzi in camera privata a partire da 28 euro.
A Siracusa , a due passi dalla storica Ortigia, in un palazzo del 800 ecco
http://www.lolhostel.com/it/ prezzi da 14 euro, e con un sito internet che sembra un salotto.
Noi italiani negli anni 70 eravamo quelli “stanziali” le vacanze non erano intese per andare a giro, ma per piazzarsi un mese fermi alla “pozza” e qui evidentemente intendo nel nostro gergo andare al mare e …tutto relax per l’intero periodo.
Mi sorprese una vacanza in Francia dove appresi che c’erano già negli anni 80 i circuiti delle “chambres d’hôtes” o dei “logis de France”, abbastanza economici e moltissimi campeggi con servizi che noi neanche ce li sognavamo.
Sarà che l’erba del vicino è sempre più verde, ma nel mio immaginario ho sempre pensato che abbiamo questa tendenza a non avere quella predisposizione alla ospitalità, non ci piace proprio.
Alcune regioni fanno eccezione, ma non faccio nomi.
Di ostelli ripartiti ce ne sono di esempi, qualcuno molto simile al nostro, ho trovato questo :
http://iltirreno.gelocal.it/massa/cronaca/2014/10/26/news/un-nuovo-ostello-in-lunigiana-1.10188654
Ci sono molti esempi di ostelli chiusi da anni e mai riaperti, ma a che serve prendere quelli come esempio da seguire ?
Di sicuro c’è una cosa : l’ostello è stato costruito con contributi europei e se dovessimo cambiargli destinazione, magari qualcuno ci richiederà anche i soldi dei contributi e saranno dolori.
Teniamoci quello che c’è, aggiungiamo altro, rendiamo questo luogo accogliente, come se dovessimo starci noi, se fosse una pianta d’appartamento dovremmo annaffiarla e curarla tutti i giorni, con il nuovo ostello faremo lo stesso.
Opportunità di lavoro per disoccupati, abbattimento delle eventuali spese di gestione, togliere cappi burocratici se possibile, via l’affitto per almeno due anni, e investire per ogni miglioria possibile, fino a farlo diventare un fiore all’occhiello del paese.
Bando di concorso gratis subito. Mix di tutti i progetti accolti e condivisi. A Ottobre 2014 aperto per la Francigena, questo deve essere l’obiettivo. Anzi potrei aggiungere tutti i progetti devono essere resi pubblici sul sito del comune, votati dai cittadini in rete.
Questa è la nostra pagina, ci disonora, era un macello, dopo un ostello, ora nulla, almeno speriamo che ritorni ad essere un ostello, anche se non bello come qualcuno di quelli linkati, ma un ostello !
http://iltirreno.gelocal.it/empoli/cronaca/2015/02/02/news/chiuso-da-anni-l-ostello-da-due-miliardi-il-comune-a-caccia-di-un-gestore-1.10787250
Alt ! La terza parte la vorrei scrivere a Novembre per raccontare un lieto fine, avete capito come!

ISTINTO


decrescita

Img da web

ISTINTO

Quando ci si riferisce ad un tipo istintivo è tutto il contrario di flemmatico e compassato.
La razionalità guida le persone misurate e controllate.
Da quando è iniziata l’era del razionale molte cose sono cambiate in meglio, altre in peggio.
Al razionale non sembra ci sia fine.
Sembra che di fronte a spiegazioni ponderate, scientifiche, se ne trovino altre, ancora di più.
Come se di fronte all’affermazione “siamo tutti uguali” qualcuno arrivi a dire che ci sono anche quelli “più uguali”.
L’aumento di razionale si accompagna ad altre manifestazioni.
Ne vado ad elencare alcune :
una diminuzione di saggezza diffusa nella nostra società
l’insistenza a continuare a sviluppare settori “morti”
carenza di spirito di sacrificio
carenza di offerte formative mirate alla crescita, non solo economica, ma interiore, con riferimento particolare all’individuo.

E’ ancora la razionalità che spinge al mantenimento dell’esistente nella nostra società, come se fossimo in qualche modo affezionati a quel che ci circonda.
Vi immaginate un contadino che nella sua terra insiste a curare interi ettari di frutteto, da anni non producono nulla, rami secchi, enormi costi di gestione. Sarebbe più logico predisporre un altro terreno a frutteto e mettere a dimora le piccole nuove piante.
Esistono correnti di pensiero abbastanza in contrasto con il “razionale” es. :
http://nuovoeutile.it/spinta-gentile-nudge/ ed il link mi porta ad altri bloggers….
http://www.decrescita.com/ in controtendenza con l’economia della crescita
http://www.labsus.org/2014/10/manifesto-convivialista-convivialismo-amministrazione-condivisa/
il manifesto del convivialismo come possibile via d’uscita
http://www.silentevolution.net/ un progetto per il cambiamento globale
e chissà quante altre ho tralasciato non meno meritevoli di nota !
Tante attività diverse, hanno in comune l’idea di valorizzare risorse.
Quale grande forza dovrebbe animarli se non l’istinto ?
Mi chiedo se la riscoperta di un uso mirato dell’istinto potrebbe essere una possibile chiave di ripresa.
Non ci sono guide su youtube per esercitarsi, ma osservo con piacere che non sono il solo a sostenerne la causa.
Scrittori del secondo millennio pubblicano libri su questo tema delicato.
Anche io mi son sentito di affrontare questo argomento.
Mi ha guidato il desiderio di condividerlo, ma anche …. l’istinto.

BAR SENZA PARTITA IVA


Partiva+IVA

IMG dal WEB

BAR SENZA PARTITA IVA

Siete mai stati in un bar ? Non dico in un bar di città, quelli aperti fino alle 19, poi… saracinesche giù e tutto spento.
Un bar vero….. quelli tipo anni ’70, quando entravi, tanta era la coltre di fumo che la prima reazione era un lieve bruciore agli occhi, poi ti ci abituavi e riuscivi a distinguere quanti tavolini da gioco erano occupati e quanti liberi.
La sera gli anziani, pensionati, ma anche molti lavoratori trascorrevano le serate a “veglia”, un bacetto alle consorti e via a giocare a briscola-tresette, o magari c’era la giocata a scala quaranta.
C’erano anche i tavoli a cinque e giocavano il quadrigliati, una sorta di tresette con dichiarazione come a bridge. Due giocatori erano insieme contro gli altri tre, e il compagno del dichiarante si scopriva durante la partita o anche a fine. Non mancavano i giocatori di biliardo, ma in quella sala non doveva volare una mosca, le palle bianco-giallastre scorrevano silenziose sui panni verdi.
Gli unici rumori erano le smorfie dei perdenti dopo tiri da maestro o le esclamazioni malcelate di meraviglia di spettatori appoggiati al muro per non infastidire gli irascibili giocatori.
Il bar era un punto di ritrovo, non mancavano le discussioni di sport, caccia, incidenti stradali, cronaca mondana, politica.
Non tutti avevano la televisione a casa, ma pur possedendola, preferivano vedere le partite di calcio con gli amici al bar. I baristi erano persone estremamente tolleranti, abituati ad avventori pronti a discutere per ore delle cose più banali.
Gli argomenti potevano passare dalla forma di nuovo modello di lampione comunale alla introduzione di un senso unico, la forma delle tette di una modella, le presunte corna di una certa persona nota a tutti.
Quando veniva affibbiato il nomignolo :
– Codesto è un discorso da bar ! – l’argomento del contendere non aveva grande qualità, ma non per questo era meno importante di certi discorsi seri.
Nel bar si poteva trovare ogni genere di persona, ceto sociale, estrazione culturale, si poteva discutere di argomenti interessanti, ma spesso i contenuti tendevano al basso e magari ore di discussione sui goal della squadra del cuore occupavano gran parte delle serate.
Mentre scorro i blog e leggo notizie economiche, la tassazione dei freelance, non posso non immaginare come avrebbero commentato gli avventori del famoso bar degli anni ’70.
Ho conosciuto personalmente molte di quelle persone, pur non essendone un assiduo frequentatore.
Gran parte sono deceduti, altri negli ospizi.
Tra quelle persone c’era una grande saggezza. Li animava il gruppo.
Avevano un sorta di accordo tacito per il “rispetto della persona”.
Prima di tutto non si dovevano trattar male le persone, poi si discuteva di tutte le altre cose.
Se quelle persone così antiche si trovassero ora a discutere di partite Iva e freelance sono convinto che la prima cosa che avrebbero da chiedersi sarebbe la seguente :
– Come mai ci sono tutte queste partite Iva ? –
Nel bar c’era sempre qualcuno che aveva la risposta a tutte le domande, e…. non era la risposta del politico di turno che ti menziona la legge , chi l’ha promossa, quando ecc. era la risposta del cittadino, di come se la sente, percepisce quel che c’è dietro ed è anche dotato di quella logica schiacciante, quella che lascia senza fiato.
La risposta me la immagino così, ma è ancora una domanda :
– Per mantenere schiere di commercialisti ? Per fa risparmiare i datori di lavoro che contrattano con i titolari di partita Iva prezzi bassissimi se non addirittura da fame ? Per far credere che si stanno formando nuove ditte ? –
Gli avventori dei bar anni ’70 avevano la logica da tifoso, da uomo da marciapiede, erano impulsivi e avrebbero anche sentenziato :
– allora se guadagnano poco, pagano un sacco di tasse, perché si ostinano a rimanere in questa condizione che peraltro non è di “ricchezza”, ma presunta tale ? –
In effetti abbiamo ereditato comportamenti non nostri, derivano dalla logica americana del consumismo, del tipo “compra il telefonino che tanto poi lo scarichi…!!!! ; quindi, perché non chiudono finalmente le loro posizioni ?
Immaginari discorsi logici si accavallano, e finalmente un saggio rimasto nell’ombra si mescola nella conversazione e timidamente afferma :
– Il valore delle partite Iva non è determinato dal valore delle loro notule, ma dal valore delle loro persone,
persone straordinarie alle quali non sono riconosciuti altrettanti meriti. –
Se i saggi avventori dei bar si materializzassero in questo secolo prenderebbero ad uno ad uno i titolari di partita Iva e gli direbbero :
– se la tassazione applicata non vi soddisfa o ritenete che il lavoro da voi svolto è apprezzato solo da un datore di lavoro, o questo vi ha obbligato a prenderla per risparmiare e potrebbe tranquillamente assumervi come dipendente, bene ……entro la fine dell’anno…… chiudete in bellezza !!! Salutate il vostro commercialista con un “Ci vediamo in palestra, non certo allo studio !” –
Allora tante migliaia di partite Iva diventerebbero di nuovo uomini liberi, chi avrà bisogno di loro dovrà assumerli con un contratto.:
Dovrete stilare il contratto delle partite Iva o come lo chiamerete, lo creerete voi, un contratto agile e leggero come le vostre menti veloci ! –
Buon lavoro !

p.s. Un dato sulle partite Iva :
Parecchi giovani italiani sono diventati formalmente dei liberi professionisti con la partita iva, pur operando in regime di mono-committenza, cioè per una sola azienda, con tutti i vincoli di subordinazione che ne derivano.
5.500.000 partite Iva intestate a persone fisiche e pari al 25 % della popolazione attiva.
Si tratta di una quantità doppia o tripla di Francia e Germania.
Ce ne siamo accorti solo adesso che le tassano ?
Se ciò non vi sembra etico come mai non si è lamentato nessuno finora ?

RIFIUTI E CIVILTA’


RIFIUTI E CIVILTA'

Vi ricordate il bambino di “ET incontri ravvicinati di terzo tipo” ?
L’ americanino vitaminizzato di tre anni incontra un simpatico extraterrestre, forse anche il piccolo attore non sapendolo ha rappresentato un nostro modello di alimentazione, vita e altro.
Mentre gli Stati Uniti ci mostravano dei possibili extraterrestri amichevoli, nel contempo esibivano il loro modello di sviluppo, e non solo con il film si diffondeva nell’intero globo terrestre.
I nostri bambini treenni che sventolavano contenti il vasino affermando di avere fatto tanta c…a sono diventati bambini coscienti che i loro rifiuti erano proporzionali alla quantità dei cibi che ingerivano e più mangiavano più ne avrebbero prodotti!
Gli americani ogni volta davano prova che il loro modello era vincente, e mentre noi avevamo incrementato le quantità di cibo ingerito, eravamo pronti per il grande balzo, anche noi avremmo iniziato a confezionare prodotti piccolini in scatoloni giganti, per far credere agli ottusi consumatori che dentro la scatolona c’è il prodottone, e così via, tutto allo scopo di generare quel mega processo che puntava a produrre rifiuti in una quantità paragonabile a quella degli americani.
L’unica differenza è che loro sono sempre stati pochi in rapporto ad una estensione enorme, per cui se da qualche parte c’era puzzo per una qualche discarica, non brontolava nessuno.

Mi sono capitati molto tempo fa dei libri che cercavano di analizzare il perché gli americani e in particolare ogni persona che rappresentava “potere” (quindi industriali, manager, dirigenti etc) buttasse via così tanta roba ; una delle ragioni che stava alla base era quella che più si butta via e più si dimostra di avere, e così tutti dovevano entrare nel circolo vizioso, dove per avere occorre sacrificio, lavorare duro, guadagnare per poter permettersi di avere e quindi poi di poter gettare.
Al tempo della società dell’avere sembra pian piano delinearsi una società dell’essere, dove piccoli gesti quotidiani ci fanno tornare persone coscienti di vivere in un pianeta con dei limiti ben precisi, dove le risorse sono esauribili e se la moglie di Obama coltiva l’orto e gli americani ora hanno un modello diverso di riferimento rispetto ai molti presidenti degli Stati Uniti (più o meno guerrafondai e bel lungi da comunicare messaggi inclini alla sobrietà)
La quantità dei rifiuti prodotti possono essere una delle chiavi di lettura della civiltà di un popolo?
Affermare che sono inversamente proporzionali alla crescita di civiltà è corretto ?
Prima degli americani c’erano gli indiani d’america meglio noti come “pellerossa”. Totale rispetto della natura, uccidevano i bisonti quanto basta e ne utilizzano anche la più piccola parte.
Arriva “l’uomo bianco civile” e neanche cent’anni dopo i bisonti diventano quasi un animale in estinzione, i cacciatori ne utilizzavano la pelle, lingua e poco più, poi tutte carcasse al sole a marcire.
Non importa andare tanto lontano, anche i contadini che io stesso ricordo, avevano la porcilaia, tutti i resti di cibo buttati insieme al letame, tutto veniva riutilizzato e del maiale non si buttava via nulla, persino confezionavano dei pennelli con il pelo.
Altri tempi.
Almeno se abbiamo avuto qualche periodo felice cerchiamo di ricordarlo, specie se fa stare bene !
Ma, ora ?
Abbiamo gestito male il ciclo dei rifiuti in passato, un esempio che voglio citare per intero è un estratto dal libro Ecoballe di Paolo Rabitti, perito della Procura di Napoli nei procedimenti giudiziari sui rifiuti campani, permette di fare il punto sulle responsabilità di un disastro unico al mondo.
“Sulla vicenda sono in corso due processi a cui è demandato l’accertamento delle responsabilità penali degli imputati; ma sul meccanismo che ha portato a sommergere la Campania sotto cumuli di rifiuti non ci possono più essere dubbi. Questo meccanismo è la sistematica violazione dell’ordinanza con cui, fin dal marzo del 1998, l’allora Ministro degli interni Giorgio Napolitano aveva delineato i termini con cui avrebbe dovuto essere affrontata la crisi dei rifiuti nella regione.
Quell’ordinanza prescriveva il raggiungimento del 35% di raccolta differenziata; l’affidamento per 10 anni della gestione di tutti i rifiuti urbani prodotti in Campania a valle della raccolta differenziata; la realizzazione entro l’anno degli impianti di selezione e trattamento delle frazioni secca e umida del rifiuto indifferenziato e, entro il 2000, di due inceneritori predisposti per il trattamento del solo Cdr (la frazione secca del rifiuto indifferenziato, trattata perché raggiunga un tot potere calorifico). Per evitare indebiti accumuli di Cdr fino alla realizzazione degli inceneritori, lo stesso doveva essere bruciato in altri impianti, anche fuori regione; e per non pregiudicare la raccolta differenziata, il Cdr non doveva eccedere la metà dei rifiuti complessivamente prodotti in Campania. L’elettricità prodotta dagli inceneritori avrebbe goduto, per un periodo di 8 anni, degli incentivi Cip6 cioè di un prezzo di cessione dell’elettricità generata con i rifiuti 4 volte superiore al costo di produzione di un ordinario impianto termoelettrico. Il decreto Napolitano era in perfetta linea con le esperienze all’epoca più avanzate di gestione dei rifiuti urbani e ne riproduceva le fasi e le caratteristiche principali.
La prima violazione del decreto avviene con il bando di gara indetto dal Commissario straordinario ai rifiuti, l’allora Presidente della giunta regionale di centrodestra, Rastrelli. Il bando viene dimensionato per il trattamento di tutti i rifiuti prodotti dalla regione e non solo della parte che residua dalla raccolta differenziata; le prescrizioni del capitolato d’oneri riguardano solo l’inceneritore, senza alcun riguardo per gli impianti di selezione e trattamento a monte dell’incenerimento; non una parola viene fatta sugli impianti di compostaggio (processo che trasforma la frazione organica in un ammendante per i suoli agricoli), senza i quali la raccolta differenziata dei rifiuti urbani non ha senso. Una scelta a favore del «tutto fuoco» che rispecchia l’orientamento della giunta regionale dell’epoca, ma che viene poi confermata dalle successive giunte Bassolino di centrosinistra. Per di più si affida all’impresa vincente il compito, pubblico, di scegliere i siti dove costruire gli impianti.
La seconda violazione è con l’aggiudicazione del servizio. Viene scelto il progetto del raggruppamento Fisia-Impregilo, che la commissione tecnica giudica il peggiore tra quelli presentati (era obsoleto già 10 anni fa); inoltre in esso si prospetta la produzione di compost senza fare la raccolta differenziata della frazione organica, ma ricavandolo dal rifiuto indifferenziato, e in quantità superiori alle capacità di trattamento degli impianti: è evidente che non si intende né produrre compost, per il quale ci vuole la raccolta differenziata, né stabilizzare – cioè rendere inoffensiva – la frazione «umida» del rifiuto indifferenziato; ma solo chiamare compost tutto ciò che viene scartato nella preparazione del rifiuto combustibile per l’inceneritore. Non basta, l’impresa proponente subordina la validità della sua offerta all’accettazione da parte della stazione appaltante di una nota del tutto illegale dell’Abi che «mette al bando» la raccolta differenziata di plastica e carta – gli unici materiali combustibili che possono alimentare un inceneritore – attraverso la formula deliver or pay: i comuni devono pagare a chi gestisce gli impianti la stessa tariffa sia che facciano la raccolta differenziata o no. Lo scopo è quello di massimizzare gli incassi da produzione di energia elettrica: più rifiuti ci sono, più si guadagna. Molti economisti sostengono che gli incentivi per le fonti rinnovabili alterano i meccanismi di mercato. E’ vero, ma promuovono il futuro: cioè l’unica alternativa energetica in un’era post-fossile. Gli incentivi per l’incenerimento finanziano il passato: la dissipazione, con rendimenti insignificanti, di tutta l’energia utilizzata e contenuta nei materiali distrutti; uno spreco concepibile con un’offerta di combustibili fossili illimitata e senza l’assillo dell’effetto serra: un’epoca ormai alle nostre spalle.
La terza violazione del decreto Napolitano si verifica cancellando dolosamente dal contratto le clausole che obbligano l’appaltatore a bruciare i rifiuti combustibili in altri impianti fino al completamento dell’inceneritore e quelle che limitano il materiale da bruciare alla metà dei rifiuti prodotti in regione. Quelle clausole obbligherebbero l’appaltatore a pagare il servizio a altri operatori, perdendo gli incentivi Cip6. Meglio allora impacchettare quel tesoro in migliaia di «ecoballe», in attesa di poterle bruciare nel proprio forno. Se poi la realizzazione dell’inceneritore tarda e le ecoballe diventano milioni, che importa? Valgono tant’oro quanto pesano, tanto è vero che le banche (ecco che torna in campo l’Abi) le accetteranno a garanzia dei prestiti concessi, come fossero tanti barili di petrolio (quelle accumulate l’anno scorso valevano già un miliardo e mezzo di euro).
Se poi questi stoccaggi illeciti – dopo un anno gli stoccaggi cessano di essere depositi temporanei, autorizzati dalla legge, e diventano discariche, per le quali sono necessari presidi ambientali mai realizzati – costano troppo, si mette a carico del Commissario, cioè di tutta la nazione, la differenza tra il prezzo pagato alla camorra, proprietaria delle aree di stoccaggio, e quello che l’appaltatore aveva indicato nella sua offerta al ribasso. E’ la quarta violazione del decreto: una porta spalancata alla camorra che affitta camion per portare le ecoballe in giro per tutta la regione e i terreni dove accumularle.
Quinta violazione: per produrre più ecoballe si fanno lavorare i Cdr al di sopra delle loro capacità; si sospende la manutenzione e li si mette fuori uso, anche perché non c’è più un solo buco dove conferire la parte più molesta del loro output: la frazione umida non lavorata e puzzolente che dovrebbe essere compost. Sembra che rovinando i propri impianti i titolari dell’appaltato danneggino se stessi; ma non è così. Con quegli impianti fuori uso e le discariche piene, i rifiuti si accumulano per le strade e l’emergenza torna a farsi pressante. Tanto da giustificare nuove ordinanze e nuove deroghe: cioè l’autorizzazione a produrre compost che non è compost e Cdr che non è Cdr. E nuovi impianti con lucrosissimi incentivi: non più un solo inceneritore e nemmeno 2, ma 4; e tutti con gli incentivi Cip6, aboliti nel resto dell’Italia e fuorilegge per la Commissione europea. «Da diverse conversazioni intercettate – scrive Rabitti – emerge il sistematico ricorso al blocco della ricezione dei rifiuti come strumento di pressione per avere le autorizzazioni agli stoccaggi e per giustificare i provvedimenti». Ecco spiegata l’emergenza rifiuti.”

Passa il tempo, sono ormai 5 anni che il libro è stato scritto e non è cambiato molto, ci vuole tanto a prendere coscienza di un problema, capire, diffonderlo, farlo condividere, aspettare pazientemente che altri se lo prendano a cuore, poi basta poco e per un interesse, egoismo, campanilismo, o bassa politica, qualcosa va di traverso e le buone iniziative si insabbiano nelle sabbie mobili del disinteresse. E’ veramente triste.
C’è voluto anche Saviano per raccontare cosa c’è dietro. Se noi italiani avessimo avuto un territorio come gli Stati Uniti, magari non avrebbe brontolato nessuno, i rifiuti sarebbero stati buttati in qualche remota vallata delle montagne rocciose, tutto dimenticato. O magari per non avere vicino i rifiuti i loro produttori li avrebbero spediti in una mega discarica nel terzo mondo, l’Africa ne è piena.
I problemi non si devono risolvere così, si danneggiano altri paesi, altre civiltà.
Qui ora abbiamo falde contaminate, terreni inzuppati di rifiuti tossici e chissà per quanto se li dovranno tenere le persone che ci vivono vicino.
Ecco che la nostra civiltà si deve interrogare sul suo futuro, perché c’è la necessità di ritornare a modi di vita più sobri, regole di vita condivise, ma ci vorrà del tempo.
Non abbiamo più tempo, dobbiamo farlo subito, se ne accorgono anche i giovani, ne cito uno, il primo che trovo, è un esempio, un’altra voce fuori dal coro, indica delle regole su come fare meglio la differenziata.
Tra plastiche, derivati del petrolio di ogni tipo spesso non compatibili tra loro, ci dobbiamo barcamenare in mezzo a rifiuti di ogni genere e diventa difficile classificarli, e un giovane pieno di iniziativa come : http://francescocucari.it/ si inventa un dizionario dei rifiuti scaricabile anche in applicazione per telefonino. Ci sono anche decine di blog sulla raccolta differenziata per aiutare tutti coloro che hanno dubbi o incertezze su come agire.
Eppure vedo ancora incivili che raccolgono tutto in un grande saccone nero e lo buttano dove capita, mi viene da pensare, e non posso farne a meno :
– Non è così che si partecipa in modo positivo alla vita di un paese civile. – !

UN RACCONTO


Con i francesi alla Coop

 

 

 

Era una giornata afosa di Agosto del 2009, mi trovavo a Poggibonsi dai suoceri e non trovai niente di meglio che fiondarmi alla coop, saziare lo stomaco con un gelatino e rinfrescarmi nell’aria condizionata.

 

Quando girello senza la famiglia tra gli scaffali del supermercato non ho nemmeno la lista dei prodotti da comprare (spesso ci vado anche solo a curiosare) sono attratto dal reparto hobby e reparto vini.

 

Quest’ultimo a Poggibonsi mi risulta essere ben fornito e mentre leggevo gradi e composizione di alcuni bianchi per un imminente invito a casa di amici noto che vicino a me una coppia sbirciava sugli stessi vini.

 

La coppia era straniera, li identifico subito per francesi, si vedeva che erano dubbiosi circa l’acquisto, si stavano comportando come degli inglesi che avrebbero comprato anche una bottiglia d’acqua al posto del vino pur di non aprir bocca tanta sembrava essere la loro timidezza, quando da solito sfacciato che sono mi faccio avanti incoraggiandoli con tono scherzoso , in un buon francese :

 

prendetelo pure non è tagliato con vino francese ! “

 

Allora si mettono a ridere e mi tiro un sospiro di sollievo (la potevano prendere a male non si sa mai !!)

 

Si complimentano con me per la mia discreta conoscenza della lingua e dato che fuori c’erano una quarantina di gradi pensano bene di soffermarsi a parlare con questo italiano che parla bene francese e forse è un esperto di vini.

 

Dopo le presentazioni scopro che Marc e Annie provengono dalla cintura parigina nord e sono in vacanza dalle nostre parti per due settimane, hanno entrambi 35 anni e sono senza figli, amano la buona cucina e mi chiedono informazioni su ristoranti della zona. Marc e Annie sono al loro primo viaggio in Italia e in Toscana , da parte mia gli racconto del giro che ho fatto molti anni fa in Francia, Marc si stupisce sulla quantità dei luoghi che ho visto in Francia e che nemmeno lui francese ha visitato, replico io che spesso capita di non conoscere bene i luoghi a noi vicini.

 

 

 

Poi ci addentriamo su confronti tra i nostri e loro supermercati, e qui le somiglianze si accentuano infatti molti supermercati hanno delle impronte tedesche o francesi e ad es. i Carrefour, Auchan in Francia hanno la stessa impostazione che in Italia salvo ad adeguarsi alle regole dello stato in cui operano.

 

 

 

Marc mi fa notare che in Francia ci sono organizzazioni della Grande Distribuzione che esercitano forti sconti a chi consuma prodotti con basso impatto ambientale generando un quantitativo minimo di rifiuti per l’imballaggio. Sono costretto a fare i complimenti poiché a quanto mi risulta queste iniziative da noi non vengono promosse.

 

L’attenzione all’ambiente sta prendendo piede anche da noi anche forse più lentamente.

 

A proposito di ambiente Annie racconta di lavorare come ricercatrice in una azienda che si occupa di ricerca di soluzioni biodegradabili per lavare l’auto a secco, gli confermo da parte mia che tutte le soluzioni che apportano un beneficio all’ambiente dovrebbero essere una priorità in ognuno di noi, anche se le faccio presente che se i problemi non vengono risolti la ragione principale è che non c’è la volontà collettiva di risolverli.

 

Le racconto il problema dei rifiuti che avevano i giapponesi nei lontani anni 80, capirono che il problema doveva essere risolto da TUTTI e si attivarono a tutti i livelli (come quando si combatte una guerra) dopodiché ottennero risultati ottimi.

 

 

 

Il nostro incontro sembrava dirigersi nei meandri di filosofie ambientali pulite quando io li stoppo bruscamente sostenendo con fermezza la mia filosofia dell’astrazione.

 

 

 

Vedere le cose dall’esterno spesso aiuta, e faccio loro l’es. di un operatore di borsa, che riuscisse per assurdo ad uscire dal contesto in cui vive ogni giorno, potrebbe avere la freddezza o distacco giusto necessario per procedere in decisioni magari contrarie all’andamento del mercato; allo stesso modo , i centri decisionali dei grandi operatori del commercio potessero pensare non dalla loro parte, ma da quell’essere umano per una volta non visto soltanto come “compratore di prodotti” ma come “abitante del pianeta terra” ci sarebbero sicuramente dei capovolgimenti di rapporti.

 

 

 

Loro concordano con questa mia personale teoria affermando che le anche le regole stanno soffocando sempre di più i consumatori e non solo.

 

 

 

Certo , concordo con loro che come il nostro medico di famiglia è troppo impegnato a trascrivere le ricette e rischia di perdere di vista il malato anche il nostro tentativo di applicare alla lettera le regole sempre più gravose imposte a casa, sui luoghi di lavoro ci stanno complicando la vita , e le complicazioni conducono a comportamenti errati.

 

 

 

In questo tamburellare Francia – Italia meglio – peggio mi ritorna in mente un vecchio adagio che ci ricorda :

 

  • l’erba del giardino del vicino è sempre la più verde

 

 

 

e memore del viaggio in Francia dove i giardini dei Castelli della Loira, di Versailles erano a miei occhi tenuti meglio dei nostri non volevo che fossero loro quelli che ancora una volta avevano il giardino più verde….

 

e detto questo sparo la mia ultima cannonata, sostenendo che il supermercato dove ci siamo incontrati svolge un importante ruolo sociale.

 

 

 

Alla loro evidente sorpresa spiego che la Coop esercita una vera funzione “sociale” in quanto prima di tutto trattasi di una cooperativa e le sezioni soci promuovono escursioni, corsi di lingua, scultura, cucina, yoga etc.

 

 

 

Marc e Annie non prendono molto sul serio questa mia affermazione e allora sono costretto a raccontare la mia personale esperienza del corso di lingua cinese da me frequentato da Ottobre 2008 a Maggio 2009 presso la Coop di Poggibonsi.

 

 

 

E’ successo tempo fa, nelle letture più disparate che faccio nei momenti di tempo libero me ne capitò una che così recitava “conosci il tuo nemico” l’arte della guerra, un libro tratto da un testo antichissimo della Cina (oltre duemilaquattrocento anni fa)

 

Ma chi sono i nostri nemici ? Da oltre sessanta anni non abbiamo avuto guerre in Italia e mi venne da chiedermi se è utile conoscere il nemico, ma anche se ne abbiamo, e chi sono i nostri nemici.

 

Molti prodotti sono di fabbricazione cinese, e mi venne da pensare che forse molte guerre le avevamo già perse, erano delle guerre economiche, produttive, quando i giocattoli della mia infanzia furono sostituiti da “made in Hong Kong” o “made in Japan” poi fu la volta delle radioline e piano piano fino alle televisioni le macchine siamo diventati una nazione che consuma senza produrre, abbiamo perso una guerra senza che ce ne siamo accorti !!

 

Mentre mi scervellavo per capire dove avevamo sbagliato, mi rimbombava la lettura di Sun Tzu “l’arte della guerra” e mi convincevo sempre più che se i nostri nemici sono i cinesi dobbiamo conoscerli meglio.

 

Sempre più si faceva avanti la determinazione di conoscere meglio la cultura cinese, e alla Coop mi soffermo a leggere gli annunci sul punto Soci Coop, ecco che si materializza la risposta per quanto mi ero proposto : un corso di lingua cinese alla Coop.

 

Allora chiedo informazioni lascio la mia mail per essere contattato nel caso si formi un congruo numero di partecipanti tale da poter iniziare il corso era il Settembre del 2008.

 

Sono sempre stato appassionato allo studio delle lingue, il cinese mi sembrava fuori dalla mia portata, ma uno studente sulla cinquantina in quello sparuto gruppo di appassionati di lingue orientali era di poco sopra la media. Dopo i vari scambi di mail e telefonate da parte dei volontari della sezione Soci Coop. di Poggibonsi partì la mia avventura che avrei voluto indirizzare nella conoscenza della cultura cinese, ma in mancanza di corsi specifici, mi dissi che non sarebbe stato male conoscere la lingua.

 

 

 

La sezione soci mise a disposizione una saletta molto carina dotata di sedie con scrittoio, avevamo due insegnanti, una di madrelingua cinese e una italiana insegnante di cinese all’università di Siena. Le insegnanti si alternavano, l’italiana ci seguiva nella grammatica, fonetica , e con la cinese facevamo pratica di lingua cinese

 

 

 

Le lezioni tutti i lunedì per due ore dopo l’orario di lavoro erano pesanti, ma più di tutto la difficoltà di scrivere in cinese (per le lezioni avevamo una settimana, ma io mi riducevo sempre alla Domenica ed era una gran fatica)

 

 

 

Durante il corso l’insegnante italiana di cinese (tra l’altro specializzata in Storia della Cina) dedicò due lezioni ad una breve storia della Cina, e fui ben felice di ciò, infatti è nel conoscere la storia di un popolo che lo si conosce meglio. Una delle cose che mi colpì nelle lezioni di Storia fu che fino al 700 la Cina era un impero potentissimo governato da dotti

 

L’imperatore Wudi (140-87 a.C.) della dinastia degli Han orientali istituì l’Università Imperiale per dare la possibilità a tutti di accedere alle alte sfere della burocrazia. Successivamente fu istituita la selezione degli esami, contribuiva a formare una classe dirigente abile e competente.

 

(evito paragoni con la politica italiana sarebbe come una cisterna di petrolio sul verde giardino! )

 

L’impero cinese destava interesse da parte di molti studiosi europei, nel 700 si alternarono scuole di sinologi uno dei più grandi sinologi è stato proprio un francese e qui non mancai di fare i complimenti alla giovane coppia !

 

 

 

I francesi avevano accusato il colpo, chissà se dal mio racconto saranno tornati a Parigi con l’idea di frequentare anche loro un corso di cinese ?

 

 

 

Si era fatto tardi, l’afosa giornata di Agosto volgeva al termine la coppia doveva andare all’appartamento in affitto a cucinare il ben di Dio comprato alla Coop, da parte mia consigliai di prendere anche un Vin Santo che a fine pasto con dei cantuccini li avrebbe trasformati per una serata in una allegra coppia di toscani.

 

Ci salutammo cordialmente, in fondo loro avevano scoperto cose nuove della nostra cultura anche se avevano solo fatto acquisti in un supermercato e io mi ero esercitato con la lingua francese che tanto il cinese non lo imparerò mai ed è meglio se perfeziono quelle che un po’ conosco!