Il mio fallimento


Il mio fallimento

 

Un seme può stare anni silente nella terra, poi si verificano le condizioni giuste di temperatura e umidità e fanno sì che prepotentemente emerga dal buio all’insidioso mondo della luce.

Ho osservato per anni dall’interno le questioni del mondo del lavoro aggravate dalla deplorevole abitudine di considerarlo come una merce. Non ho avuto alcun potere di intervenire a un cambiamento delle tendenze degli ultimi decenni.

Ho individuato numerose variazioni dei comportamenti degli interessati, come il denaro al posto dei valori umani, la produttività al posto della sostenibilità, la specializzazione al posto della creatività artistica.

Nel frattempo il sindacato ha continuato a difendere i lavoratori occupati a tempo indeterminato senza preoccuparsi degli irregolari, del lavoro nero, della formazione, delle finte partite Iva.

La delocalizzazione ha dato il colpo di grazia, e se da un lato ha fatto abbassare i prezzi dei prodotti dall’altro ha svuotato le aziende madri di lavoratori competenti.

Negli anni ‘70 c’era ancora un artigianato diffuso nelle fabbriche e proprio tra quelle maestranze si sono formati gran parte degli attuali imprenditori italiani.

Il ciclo si è però interrotto per l’assenza di formazione e il persistere delle delocalizzazioni.

Sempre di più ho compreso che il seme sepolto era la formazione e anni fa ho realizzato dovesse diventare la chiave di volta della rinascita del nuovo tessuto produttivo della società italiana.

Il mio errore è stato di voler risolvere il problema nello stesso modo in cui era stato generato.

Sono diventato un minuscolo Don Chisciotte contro enormi mulini a vento, non sono riuscito a fare nulla di quel che avrei voluto. Mi sono reso conto che non si può vivere di buoni propositi.

Ora affido a queste parole la mia eredità affinché il mio sacrificio non sia stato vano.

Negli oltre trenta anni di vita lavorativa in qualità di impiegato amministrativo e tecnico mi sono reso conto delle tante incongruenze del mondo del lavoro.

Gli imprenditori consideravano i lavoratori come bestie da soma, da sfruttare al massimo, e raramente riuscivano ad apprezzare le qualità dei lavoratori in quanto persone meritorie di rendere la loro azienda competitiva.

Su dieci lavoratori solo uno o due erano contenti del proprio lavoro, lo svolgevano volentieri e non avrebbero cambiato per nulla al mondo la propria azienda, quelli che rimanevano erano a rimorchio e stavano lì per il bisogno di portare a casa la pagnotta.

Gli imprenditori spesso non sceglievano direttamente i lavoratori per vari motivi:

– non avevano le competenze necessarie per valutarli

– si affidavano agli amici degli amici

– gli bastava spendere poco ed erano già contenti

Con le agevolazioni introdotte dalla selva di contratti aziendali, oggi assumono con la stessa facilità con la quale si comprano prodotti al discount, quasi sempre a tempo determinato, empatia vicina allo zero e rotazione personale come le scorte di un magazzino all’ingrosso.

Ma un dipendente non è forse una parte dell’azienda? Se quella persona assunta poi risponderà a telefono e verrà testata, la sua preparazione non rappresenterà l’azienda?

Chi si comporta con queste modalità è consapevole che quelle decisioni gli si potranno torcere contro prima o poi?

*

Devo raccontarlo, devo recuperare i ricordi, mettere insieme i brandelli della mia attività miseramente sgretolata e infine spanderli ai quattro venti come il tintinnante suono delle campane a festa.

Un’attività iniziata troppo tardi, troppa preparazione, troppa fiducia nella tecnologia, nei social, nelle persone.

Non avevo l’utile affanno di chi si avventura in un’attività a venti anni, ero riposato, calmo, compassato e autofinanziatomi totalmente non avevo nemmeno bisogno della banche.

Non calcolavo il tempo sprecato, i viaggi in auto in Toscana, il costo del web designer, il commercialista.

Volevo solo dimostrare di avere ragione.

Volevo essere utile alle persone.

Volevo dar lavoro ai numerosi docenti della mia agenzia formativa da me contattati.

Volevo ottenere risultati ottimali con la pubblicità sui social del mio sito web.

Più andavo avanti nella mia impresa e più le porte mi si chiudevano in faccia.

Nessuno riteneva utili i corsi da me proposti e i canali pubblicitari da me utilizzati non erano idonei a far arrivare le informazioni ai diretti interessati.

Le pubblicità su Facebook a pagamento completamente inutili.

I tentativi di collaborazione con amministrazioni pubbliche, agenzie formative riconosciute e scuole risultarono enormi buchi nell’acqua.

La rottura dell’incantesimo non fu fulminea, mi sono semplicemente svuotato di energia dopo due anni senza essere riuscito a organizzare nemmeno un corso degli oltre trenta pubblicati nel sito web.

Alla fine ho chiuso sito web e partita Iva a fine 2017.

Mi è rimasto attiva solo la pagina Facebook, come fosse la ricevuta di un parcheggio: “Saperi attivi”, ecco il nome del sito web da tempo cessato.

Ora posso raccontare questo fallimento. Questo racconto è necessario, ancora più importante dell’aver avviato l’attività, e lo faccio con un piacere immenso.

*

Ecco che nelle decine di anni mi sono sforzato di far capire alle aziende che la formazione è la chiave di volta di ogni nuova attività. Se le persone non ricevono la giusta formazione sono destinate a diventare mine vaganti.

Nell’idea degli imprenditori formare le persone è un costo. I lavoratori devono lavorare, del resto sono bestie da soma e qui finisce ogni tentativo di farli ragionare, poi quando qualcuno, mente aperta, ha formato qualche dipendente, questo se n’è andato e l’imprenditore ha visto sfumare così l’investimento; chiaramente non ci vuole cadere di nuovo e si astiene da formare le persone, le cerca già formate.

Quest’idea andava bene trenta o quaranta anni fa, ora invece sul mercato ci sono imprese che cercano persone formate, nessuno che le forma e disoccupati a go-go.

Ho analizzato il settore della formazione. Ci sono delle scuole con alti livelli di specializzazione come ad esempio il Polimoda, la scuola di ceramica, la scuola di parrucchieri, di musica ecc. Ognuna di queste ha budget pubblicitari e non ci sono organismi statali o regionali preposti al coordinamento di queste attività.

Poi ci sono le agenzie formative riconosciute con legge regionale, dove imperversano quantità indecenti di corsi obbligatori per legge e per lo più inutili.

Le agenzie formative private sono quasi sempre collocate nelle città medio-grandi e sono un poco simili a quella che avevo io, ma io ero da solo e collocato nella provincia e non potevo utilizzare l’enorme bacino di utenza delle città.

Come tentativo in extremis cercai di collaborare con i modernissimi co-working, i nuovi spazi funzionali che i giovani potevano affittare a prezzi modici. Alla mia età potevo essere il padre o il nonno di quei giovani intraprendenti ingegneri.

Ai responsabili del co-working provai a chiedere un public speaking durante le ore di pausa pranzo, quando tutti i cervelli si fermano, il corpo si nutre e… ci sarebbe stato tempo per parlare, ma… niente!

Le loro regole non prevedevano intrusioni per coloro che desideravano anche solo farsi conoscere dagli altri componenti del co-working.

La parte più emozionante e intrigante è stata quella della scoperta dei tesori nascosti delle competenze di decine di docenti desiderosi di farsi conoscere, di insegnare, condividere.

Non ho rimorsi in merito al mio fallimento, la mia attività è stata aperta e chiusa mentre usufruivo dei due anni di Naspi, non ci ho speso una fortuna perché forse non ci ho nemmeno creduto veramente.

La coltivazione elementare nel 2023


La coltivazione elementare nel 2023

Da circa dieci anni (più o meno da quando ho aperto il blog) ho un piccolo orto sociale di circa 50 mq. Durante questo periodo ho seguito corsi di orto sinergico, permacultura e sperimentato varie tecniche produttive sempre orientate al minor impatto ambientale possibile.

Da qualche mese mi si è presentata l’opportunità di poter gestire un terreno agricolo inutilizzato appartenente ad un amico.

Il terreno ha una superficie di 3.000 mq, ma non ha il pozzo dell’acqua e in un primo momento la possibilità di realizzarci un orto poteva sembrare ardua.

Mi sono procurato dei libri con metodi di coltivazione biologica:

La cura della terra di Francesca Della Giovanpaola e La civiltà dell’orto di Gian Carlo Cappello

Ho iniziato a recintare circa duecento metri quadrati lasciando libero il terreno rimanente e riguardo all’acqua, poiché il terreno dispone di un capanno con gronde, ho predisposto una cisterna per la raccolta delle acque piovane al fine di sopperire in caso di lunghi periodi di siccità.

I proverbi toscani scoraggiano chi intende avvicinarsi alla coltivazione di terreni; cito due dei più famosi:

– La terra è bassa.

– L’orto vuole l’omo morto.

La tecnica che sto adottando nel nuovo orto nei duecento mq è quella della coltivazione elementare, e… udite udite! Con questo metodo non si vanga, non si zappa il terreno e sembra che richieda anche pochissime innaffiature.

Per iniziare mi sono procurato delle rotoballe di fieno, ho calpestato l’erba senza estirparla e su questa ho disteso il fieno per un’altezza di circa 25 cm.

L’erba coperta dal fieno tende a marcire e richiama i lombrichi, si forma così uno strato di terra abbastanza umida e morbida ideale per ricevere le piantine da orto.

Con le mani ci si fa spazio nello strato di fieno, si affondano un poco le piantine nella terra e si richiude il foro nel fieno lasciando un po’ di spazio intorno alla pianta. Per il mantenimento del fieno occorre sempre usare un forcone, quando le erbe sottostanti si affacciano di nuovo fra il fieno occorre smuoverlo e sollevandolo lo si fa ricadere sopra le erbe e queste vengono soffocate di nuovo.

Lo scopo di questa coltivazione è quello di integrare le nuove piante con l’ambiente.

All’inizio ci mettono un po’ più di tempo a dare dei risultati rispetto all’orto tradizionale, ma piano piano completano lo sviluppo, vanno in produzione e durano anche più a lungo poiché risentono meno degli eventuali sbalzi di temperatura.

C’è da fare una considerazione rispetto all’orto tradizionale, ed è quella della superficie necessaria ad una famiglia; si potrebbe obiettare infatti che è necessaria una superficie maggiore con la coltivazione elementare di Gian Carlo Cappello.

Occorre però conoscere in quale contesto sono nati gli orti sociali e come nel tempo si sono modificati.

L’orto sociale in Italia nasce nel dopoguerra, li chiamavano infatti “orti di guerra” e si svilupparono per dare sostegno nelle famiglie con difficoltà durante il periodo post-bellico.

Con il tempo poi sono cambiate le tecniche di produzione, concimazione, lotta agli insetti dannosi, alle malerbe (così vengono ancora oggi definite quelle erbe dannose alle piante).

Negli anni con l’aiuto di numerosi prodotti si possono ottenere molti kg di verdure anche in pochi metri quadrati di terreno.

La coltivazione elementare invece non utilizza concimi essendo il fieno di per se’ un materiale che contiene sostanze utili alla crescita e sviluppo delle verdure, occorre però più spazio per le piante.

Proprio in questo periodo nel comune dove abito stanno edificando immobili negli spazi dove c’erano gli orti sociali.

Il comune ha acquistato un grande appezzamento di terreno sembra allo scopo di trasferire gli orti sociali rimasti.

Questa potrebbe essere l’occasione per diffondere il metodo di coltivazione di un orto senza aver bisogno di impianti di irrigazione, vista la sempre crescente carenza di acqua.

L’ultimo regolamento degli orti sociali risale a quasi venticinque anni fa e forse necessita di una revisione alla luce delle nuove esigenze della comunità.

Ogni cittadino singolarmente può fare tanto individualmente in ogni sua azione, anche solo quando va a fare la spesa.

Quando si riunisce con altri cittadini per interessi comuni allora si forma quel senso di comunità così bello e vero tanto da travalicare ogni confine.

L’ultimo mio articolo in questo blog è di oltre un anno fa, lo scrissi pochi giorni dopo l’inizio delle guerra in Ucraina, come se avessi immaginato il protrarsi dei combattimenti.

Il martellare quotidiano delle notizie mi ha costretto indirettamente a una sorta di silenzio stampa.

Mi era passata la voglia di scrivere nel blog.

In realtà ho scritto moltissimo, ma non avevo voglia di condividerlo.

Solo oggi, spinto dall’irrefrenabile voglia di lasciare qualcosa di utile per gli altri, mi son deciso a raccontare questa mia avventura che spero continui e prosperi.

Non servirà a nulla, però ci provo


Non servirà a nulla, però ci provo

Dicembre 2021, e sono trascorsi otto anni da quando ho aperto questo blog.

All’inizio scrivevo molti articoli, anche due ogni settimana. Gli argomenti che vorrei trattare sono ancora molti, ma non diventano articoli. Nel 2021 ne ho pubblicati solo tre.

Da quando ho pubblicato i libri di racconti e poesie si è ridotta la quantità di articoli nel blog.

I visitatori sono saliti nel primo triennio da zero a oltre tremila e poi il numero si è mantenuto intorno ai quattromila nel quinquennio successivo.

In quest’ultimo anno sono stati poco più di duemila, ma con soli tre articoli, è anche troppo.

Sembra che i lettori gradiscano certi articoli relativi alle ricette di cucina, racconti, appunti di viaggi.

I miei recenti interessi mi portano a scrivere il quarto articolo di quest’anno, ancora una volta sull’ambiente.

Quest’anno si è celebrata la Cop26. A Glascow c’erano giovani provenienti da ogni paese del mondo, purtroppo i potenti della terra non hanno manifestato la benché minima intenzione a cambiare le prospettive e modalità di crescita nonostante l’infuriare della pandemia da quasi due anni.

Ogni anno si ripete il tentativo fallimentare di ripristinare la biodiversità nel pianeta terra a com’era prima della industrializzazione.

Sembra strano, ma la soluzione potrebbe essere nella resilienza.

Pensare globalmente, agire localmente.

Ognuno nel suo terreno può sfruttare il potere rigenerativo della terra.

Facciamoci aiutare dalle piante.

Le piante in modo del tutto naturale possono immettere carbonio nel terreno e alimentare il ciclo che ha permesso il mantenimento della crosta terrestre viva e non inaridita come le superfici arate.

I proprietari terrieri devono interessarsi dei terreni affidati in gestione agli agricoltori, in modo particolare quando questi utilizzano arature profonde sui terreni.

Da oltre 70 anni sappiamo che le monoculture hanno effetti devastanti sui terreni, ma si continua a coltivare con questo metodo.

Almeno venti civiltà si sono estinte per l’eccesso di sfruttamento dei terreni.

Uno degli esempi più antichi è stato quello dell’altopiano del Loess in Cina. Anticamente era una regione fertile; ha ospitato la nascita di una delle prime civiltà cinesi. Secoli di pascolo eccessivo, deforestazione e agricoltura di sussistenza l’hanno resa una delle aree più degradate dell’intera Cina, ormai famosa per le ricorrenti inondazioni e carestie. L’utilizzo inconsapevole del suolo ha portato a impoverimento e degrado della terra e di conseguenza della società.

Un suolo povero che necessita di concimi chimici, pesticidi, impoverisce chi ci vive sopra.

Per avere cura della salute del suolo occorre attivare la rigenerazione ecologica.

Le condizioni per l’attivazione della rigenerazione sono:

minimo disturbo meccanico, diversità, radici vive in ogni momento, piante perenni e alberi, uso di animali.

A tal proposito c’è un film documentario su Netflix che spiega questa metodologia:

https://www.netflix.com/it/title/81321999 Kiss the ground – 2020

Trovo strano che queste chicche di documentari provengano dallo stesso luogo che genera le peggiori distruzioni ambientali del nostro pianeta.

Altrettanto strano è che in Europa si proceda effettuando gli stessi errori statunitensi senza nemmeno cercare di comprenderli.

Riflessioni sul coronavirus


Riflessioni sul coronavirus

In questo periodo di coronavirus si sente spesso parlare di “guerra” o di “nemico” come fossimo confinati in una trincea dalla quale è pericoloso alzare la testa.

Nessuno o pochi hanno parlato di accettazione della malattia, sì, perché il coronavirus l’ha contratto una piccola parte della popolazione e molti sono guariti, ma la possibilità di ammalarci potrebbe capitare a tutti. E se capitasse a noi? Abbiamo pensato a come reagire? Abbiamo provato ad immaginarlo?

Nei primi test di coronavirus i tempi di risposta delle analisi erano intorno alle 5 ore, ma in certi casi anche 24 e in questo lasso di tempo i malati nella paura di essere positivi avevano spesso aggravamento fino ad arrivare alla polmonite interstiziale che al momento del test non era presente.

La mente ha un ruolo fondamentale nelle fasi salienti della malattia.

Credo che l’accettazione sia la prima risposta necessaria al corpo e al nostro spirito per poter reagire. È noto che in situazioni di stress e paura, le difese immunitarie calano. È necessario non entrare nel panico.

Mentre siamo tutti confinati nelle proprie abitazioni, occorre utilizzare questo tempo per acquisire nuove conoscenze, ma soprattutto riprendere in mano i valori della socialità, dello stare insieme, fino a decidere di trovare insieme una soluzione.

In questo momento non ci può interessare come si è sviluppato il covid 19.

Pasolini diceva: – credo nella civiltà, non mi piace il progresso, questo progresso.-

Da oltre un secolo la crescita inarrestabile, il benessere e progressi scientifici hanno innalzato la vita media e il numero degli umani sul pianeta.

Come se il progresso avesse fabbricato un enorme jet supersonico; risulta evidente che un aereo è un prodigio della tecnica ed è fatto per volare, se lo tenessimo in un hangar ad arrugginire gli verrebbero procurati solo danni. Prima o poi dovremo impegnarci per farlo volare di nuovo, ma come?

Sto pensando anche a quanti soldi si risparmiano a stare tutti a casa, nessuno si muove da casa, lavora in smart-working, ma la nostra economia non è concepita per stare ferma e finirebbe come il jet supersonico.

Il coronavirus è stato definito “virus ubiquitario” significa in pratica che si trova dappertutto nello stesso tempo, non ce ne potremo liberare tanto velocemente.

Secondo alcuni esperti se si facessero analisi a tappeto a tutta la popolazione si potrebbero riscontrare dal 50% all’80% di positivi al virus.

Cercherò di andare oltre agli aspetti scientifici dei quali non sono esperto.

Quello che sembra voler provocare i coronavirus è il rallentamento dell’economia.

Nessuno riesce a fare previsioni su quanto durerà questo catastrofe.

Si possono fare solo confronti con le pandemie precedenti come la peste nera o la spagnola.

Questa volta non si tratta di una crisi finanziaria come quella del 1929 o del 2008, questa volta l’origine è la natura, la stessa alla quale apparteniamo.

Proprio mentre siamo a casa possiamo pensare a quando tutto questo finirà e immaginare come potrebbe essere un nuovo e diverso sviluppo mondiale. Forse allora molti comprenderanno il valore dei messaggi di Greta Thumberg, degli Extinction Rebellion e di altri numerosi gruppi con obiettivo la protezione e difesa dell’ambiente, dell’umanità intera, nati recentemente e ci saranno forse speranze per i Verdi di poter portare la loro voce nei luoghi dove si scrivono da sempre le regole della nostra comunità.

LA COPERTA


La coperta

Quando si scrive per fare chiarezza, se non ci si spiega molto bene con molta probabilità si alimenta solo confusione.

L’intento di questo articolo è di spiegare quello che abbiamo in termini di tasse imposte tributi.

Ci hanno provato in tanti, e dalla nascita dello Stato Italiano è sempre stato un continuo aggiungere, senza mai togliere.

Anche se le classificazioni le avevo studiate a scuola, solo con la pratica riesci a capire le differenze.

Il primo e lontano ricordo risale al cicerone.

– Prendimi un cicerone! – mi disse l’impiegata anziana al termine del lavoro di battitura del contratto. Nella rubrica cartonata, dopo i francobolli il titolare della ditta aveva raggruppato ciceroni di vari colori e valori.

Il cicerone era il nome convenzionale della marca da bollo da applicare sui contratti. Si trattava di un francobollo con l’immagine di Cicerone e conferiva ai fogli protocollo uso bollo una connotazione di sobrietà.

Il bollo, le marche da bollo sono La “marca da bollo” è una carta-valore, in pratica un francobollo da annullare per convalidarne l’uso inventato nel ‘700 per tassare vari prodotti (la più tipica è l’adesivo dei tabacchi) od a contribuire alle spese relative a certi atti pubblici. Fu introdotta in Italia fin dal 1863 (l’impalcatura amministrativa del Regno fu poi sancita nel 1865, quindi due anni dopo!) come pagamento per la convalida di atti e documenti pubblici (ad esempio: domande che comportavano l’emissione di atti amministrativi quale una licenza di commercio, un passaporto – od il rinnovo di questi, atti notarili, dichiarazioni, certificazioni, ecc.).

Proprio per questo oltre a differenziasi per importo si dividono anche in categorie, i principali essendo “Atti amministrativi” ed “Atti giudiziari”

Dal giugno del 2005 al settembre 2007 le marche da bollo tradizionali sono stati affiancate da contrassegni di tipo autoadesivo, rilasciati per via telematica dall’Agenzia delle Entrate nei punti di rivendita, in genere i tabaccai.

Ovviamente è solo la oculata scelta fatta dall’UCAS (Ufficio Complicazioni Affari Semplici) che anche con la nuova procedura si debba specificare il tipo di MARCA, ma almeno il tipo dovrebbe essere spiegato nelle istruzioni delle varie documentazioni da presentare… il guaio è che quasi mai (capita a tutti) abbiamo la pazienza di leggere sino in fondo, leggiamo “marca da bollo da ..” e non guardiamo mai il tipo.

Il guaio è che se la marca è di importo esatto, ma di tipo sbagliato inizia un processo di regolarizzazione che – oltre a comportare un costo elevato – blocca l’iter in attesa della regolarizzazione, in caso di presentazione della domanda.

Probabilmente è peggio con le marche da attaccare ai documenti in sede di rilascio, qualcuno potrebbe ritenerli non validi.

Sappiamo che lo Stato ricorre ad entrate, sia di natura pubblica sia di natura privata, per far fronte alla proprie finalità istituzionali (esigenze di spesa e intervento nell’economia), garantendo così a tutti i soggetti la fruizione di determinati servizi essenziali, quali ad esempio l’istruzione, l’assistenza sanitaria, i trasporti, l’ordine pubblico ecc.

La stragrande maggioranza di queste entrate è di natura fiscale, ossia è conseguita attraverso l’istituzione, l’imposizione e la riscossione dei tributi.

I tributi sono prestazioni patrimoniali coattive, di regola pecuniarie, stabilite dallo Stato – in forza della propria sovranità – con legge o con atti ad essa equiparati (decreti leggi e decreti legislativi).

Ciò detto, è necessario evidenziare che i tributi si differenziano tra loro a seconda del presupposto (ovvero della situazione, del fatto o dell’evento, comunque lo si voglia chiamare) a cui la legge ricollega la loro nascita. I fatti che determinano il sorgere dell’obbligazione tributaria sono tra loro molto diversi, anche se tutti sono suscettibili di valutazione economica.

Nel linguaggio corrente i termini tassa, contributo e imposta vengono spesso utilizzati in modo equivalente, ma in realtà, in sede giuridica, tali espressioni individuano tributi tra loro molto diversi. Vediamoli di seguito nei loro elementi essenziali.

La tassa è un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione ad un’utilità che egli trae dallo svolgimento di un’attività statale e/o dalla prestazione di un servizio pubblico (attività giurisdizionale o amministrativa) resi a sua richiesta e caratterizzati dalla “divisibilità”, cioè dalla possibilità di essere forniti a un singolo soggetto.

In sostanza è una prestazione patrimoniale dovuta in relazione all’espletamento di un servizio svolto su espressa richiesta del soggetto contribuente.

A titolo esemplificativo si possono menzionare la tassa per la raccolta dei rifiuti, la tassa scolastica, la tassa sulle concessioni governative, la tassa per l’occupazione di spazi e arre pubbliche ecc.

La tassa non deve essere confusa con le tariffe versate dall’utente per la fruizione di determinati servizi pubblici quali, ad esempio, il trasporto ferroviario, il servizio postale e telefonico, le forniture dei gas, elettricità e acqua e così via; in questi casi, infatti, si è di fronte a veri e propri corrispettivi (prezzo) di natura contrattuale e non legale, mentre la tassa è un tributo e, come tale, può essere stabilita solo con legge.

L’imposta si caratterizza per il fatto che il suo presupposto – evento valutabile economicamente – è realizzato dal soggetto passivo e non presenta alcuna relazione con lo svolgimento da parte dell’Ente pubblico di una particolare attività o di un servizio.

Così, ad esempio, è l’operaio, e /o il dirigente che, prestando la loro attività alle dipendenze di un’impresa, pongono in essere il presupposto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, ovvero, facendo un altro esempio, è l’imprenditore che svolgendo un’attività produttiva realizza personalmente il fatto (attività d’impresa) dal quale deriva l’obbligazione d’imposta.

Ancora, chi è il proprietario di un immobile, e quindi è titolare di un bene che produce un reddito (rendita fondiaria o canone di locazione), è soggetto all’imposta sul reddito delle persone fisiche (salvo che l’immobile non sia configurabile come abitazione principale) e all’imposta comunale sugli immobili (ICI). L’imposta può presentare caratteristiche diverse a seconda degli eventi economici che ne impongono l’applicazione e conseguentemente può essere suscettibile di differenti classificazioni (dirette e indirette, generali o speciali, personali o reali, proporzionali, progressive e regressive ecc.).

Nel linguaggio quotidiano ci capita di parlare indifferentemente di tasse e imposte, volendo indicare genericamente dei tributi che siamo obbligati a versare all’erario.

Non tutti sanno esattamente la differenza tra tassa e imposta: proveremo a spiegarla in maniera molto semplice.

La tassa è un tributo che è sempre collegato ad una determinata prestazione offerta dallo Stato ed ha come presupposto la richiesta, o almeno la fruizione, di questa specifica prestazione. Ad esempio esistono le tasse scolastiche, la tassa di concessione governativa, la tassa per l’occupazione di suolo pubblico, etc. Il contribuente è obbligato a versare una certa somma in corrispondenza di quello specifico servizio.

Le imposte invece non hanno questo presupposto e non sono direttamente collegate ad un servizio corrisposto dalla Pubblica Amministrazione.

Soprattutto, il soggetto le subisce passivamente in virtù non di un servizio pubblico, ma di una situazione patrimoniale personale.

Le imposte si suddividono ulteriormente in imposte dirette quando colpiscono la ricchezza nel momento in cui viene prodotta (IRPEF, redditi da capitale) e indirette quando colpiscono la ricchezza nel momento in cui viene spesa o consumata.

Ora dopo questa lunga introduzione, voglio aggiungere una esperienza personale, in quanto socio di una associazione senza fini di lucro.

Lo scorso anno e nei primi mesi del 2017 abbiamo organizzato eventi culturali legati alla valorizzazione del nostro territorio, presenti storici e letterati, abbiamo fatto conoscere ai presenti certi luoghi poco conosciuti. Al termine insegnanti del locale istituto alberghiero con gli allievi hanno effettuato la somministrazione di alimenti.

Ci è arrivato da pagare una cifra dalla Asl, che ci parifica ad una azienda di somministrazione alimenti, quando in realtà la nostra attività è stata un evento occasionale.

In pratica ci hanno appiccicato un cicerone da 38 euro solo per dire che la Asl sa che verranno somministrati alimenti. Sono quelle cose che si devono pagare e basta e non si riesce a capire perché.

Ma se succede qualcosa e qualcuno si sente male? Ho capito, va bene, ma non è che se ho pagato la tassa alla Asl questo è un parafulmine e mi tutela come l’assicurazione grandi rischi, come al solito, è una coperta troppo corta.

Le regole sono cambiate, e per certi versi non sono cambiate in meglio. Un altro ricordo mi risuona, è il compleanno della figlia all’interno della scuola materna. I genitori oltre venti anni fa potevano partecipare al pranzo con i bambini, fare delle foto ai ragazzi, portare la torta per tutti, una festa aperta, un momento di svago. Tutto cambiato, ora non si può portare niente a scuola e non va bene nemmeno i prodotti con lo scontrino del pasticciere, ci vuole roba confezionata. Le fotografie non scherziamo, è diventata una cosa pericolosa a causa della privacy. Sembra ci sia coinvolto anche wikileaks. No via, scherzo.

Mi chiedo cosa può essere accaduto. Sarà venuto un corpo sciolto a qualcuno e ha sporto denuncia ?

Tributi tasse imposte sono tanto aumentate nel tempo senza che nessuno sia titolato a dire la parola : “basta”.

Ognuna è correlata a una struttura che l’ha ideata, progettata, per portare denaro alla pubblica amministrazione, con preciso riferimento al proprio capannello.

Con l’assommarsi di balzelli di ogni genere, anche quando il capannello non esiste più, spesso rimane la tassa che lo alimentava, infatti chi si può permettere di togliere tasse desuete?

Siccome anche togliere le tasse comporta lavoro, ecco che … è più semplice lasciarle!

Questa è la storia, può darsi arrivino tanti esperti a smentirla, ma la percezione dei cittadini è precisa, fin troppo.

Un esempio ? Non molti anni fa gli oneri di urbanizzazione di una villetta ammontavano a quasi 40.000 euro e poi la villetta avevano da farla… Non mi pare bassa la cifra da versare nelle casse delle amministrazioni locali.

Quando fa freddo e abbiamo una coperta corta da qualche parte ci si scopre e si prende freddo.

Dobbiamo conoscere i limiti di uno stato che impone gabelle.

Le imposizioni di balzelli che alimentano uffici inutili sono inutili a loro volta.

Qualcuno ha pensato a un censimento delle imposte e tasse e chi potrebbe effettuarlo ?

Pensiamoci, e grazie per il tempo dedicato a questa mia riflessione.

Fonti :

http://www.simone.it/economia/sos/19.htm

http://www.infoconsumatori.com/differenza-tra-tassa-e-imposta.htm

SENZA BIGLIETTO


biglietto-da-visita

SENZA BIGLIETTO

Sono passati quasi venti anni dal primo corso di informatica. Lo chiamavano così l’approccio alla rete, alla navigazione internet a 4800 k/sec, i primi browser, la posta elettronica di Eudora, bei ricordi.
Non esistevano, o erano molto rari gli esperti di database, web editor, web marketing, programmatori html ecc.
A quei tempi c’erano i bigliettini da visita. Dovevi averne uno colorato, la grafica era fondamentale, pochi dati ma essenziali, guai a non avere il cellulare, la mail non tutti ce l’avevano.
La cosa migliore avere qualcosa che lo differenziava, come alcune parti lucide o dei forellini a formare il logo di un’immagine o un disegno in rilievo ; allora quella era un perla e rappresentava valore aggiunto.
C’era chi si faceva anche mettere la foto e allora lo avrei mandato dallo psicologo.
In generale si preferiva vedere la gente in faccia, ascoltarsi, piacersi e finalmente stringersi calorosamente la mano.
Ne è passata di acqua sotto a ponti.
Sono qui.
Con un sito internet a presentare docenti con idee nuove e meno nuove, a dare opportunità a giovani e meno giovani, contattare agenzie formative con i loro enormi bacini di utenze.
Sono senza biglietto, non l’ho proprio fatto, ma sto comunque navigando anzi se mi state leggendo anche voi ci incontreremo.
Possiamo farlo.
Anzi, come dice un mio amico blogger :
– celapossiamofare –

GRU


gru

 

 
GRU

Le alte torri metalliche sembravano ghermire gli immobili della città.
Si poteva tentare di contarle, ma erano troppe.
Erano gli anni del boom edilizio.
Se ci fosse stato materiale meno costoso della sabbia, l’avrebbero usato.
Il lavoro c’era per tutti e faceva percepire sicurezza.
Italiani e giapponesi, i grandi risparmiatori (forse perché avevano perso la guerra ?)
I risparmi spesso convogliati verso l’acquisto di case di proprietà alimentavano il mercato immobiliare.
I mostri d’acciaio protesi a convogliare cemento nei posti giusti rappresentavano l’indice di operosità di un territorio.
Se c’erano gru, voleva dire che c’era lavoro e quindi benessere.
Le gru non hanno avuto molti figli.
Mentre crescevano palazzi in ogni direzione le gru sono quasi scomparse.
Un animale in via di estinzione.
Ci pervade un po’ di nostalgia per quei momenti di intense attività immobiliari.
Vorremmo ritornare a quel benessere diffuso.
Come ha potuto il prodotto di quelle gru elargire tanto benessere ?
Cosa ci è rimasto adesso ?
Nessuno nutre ora le poche gru rimaste.
Quei pilastri di metallo non sputeranno più grandi quantità di cemento sul nostro pianeta.
Sono solo riflessioni alla ricerca di crescite alternative, senza ….gru !

Orto nel campo


Sottotitolo: “più frittata per tutti!” Oggi è una giornata speciale: ho raccolto i miei primi 3 kg di zucchine. Mi sento come Paperon de Paperoni quando nel Kloendike scavava con le unghie la sua prima tonnellata d’oro. E ieri è stato altrettanto speciale perchè ho ricevuto l’ispezione dell’amico Roberto Francalanci, maestro di orto e […]

via L’Uomo Del Monte ha detto: “Si!” — joseph pastore maker

LATTAIO


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IL LATTAIO

Agenore aveva capito che il lavoro dei campi era troppo duro e non costituiva una adeguata fonte di reddito per la famiglia.
Provò, come ultimo tentativo, a vendere direttamente il latte delle mucche. Cominciò con il latte delle sue mucche, poi anche di altri contadini disposti a cedere parte della produzione in eccesso.
Olga, la moglie aveva il suo da fare a casa vacche, galline e conigli, la casa, i figli, la cucina ;
non poteva dargli grande aiuto.
Il travaso dai contenitori metallici alle bottiglie era il momento più delicato, guai a sprecarne anche una goccia !
Una volta preparate le casse delle bottiglie via ad effettuare le consegne.
Il latte fresco appena munto formava delle macchie gialle come se fosse brodo. Si trattava del grasso che lentamente si spostava verso la superficie. Il latte, generoso di bianco, morbido, naturale, invogliante alla sete diffondeva nell’aria un profumo intenso, penetrante come alla nursery del reparto neonatale.
Per effettuare le consegne a tutti i clienti erano necessarie diverse uscite e rientri a casa, riportare i vuoti e riempirli di nuovo.
Non è facile cambiare le abitudini. Agenore comprese questo a sue spese. Anche le piccole cose, le più insignificanti, come quella delle bottiglie di latte.
Ogni famiglia aveva le sue bottiglie e non voleva separarsi dalla propria, con il vetro verde o rosso che fosse e pretendeva di usare sempre quelle. Queste richieste gli complicavano il lavoro.
Non fu facile imporre uno standard sulla misura e colore delle bottiglie. Alla fine ci riuscì.
Il lattaio girava per le case, di buon mattino, per lasciare le bottiglie di latte e ritirare i vuoti.
Il latte fresco veniva bollito e solo il primo giorno qualcuno dei suoi clienti lo beveva fresco. La paura che il latte potesse essere contaminato svaniva con una bollitura. Certe massaie però lo bollivano anche più volte.
Il latte di Agenore era di provenienza ben nota, c’era un rapporto con i produttori basato su una piena fiducia.
Poi come si poteva non avere fiducia in Agenore, quell’omone alto con naso aquilino e orecchie a sventola, guance colorite, le dita gonfie di stanchezza.
Era tanto robusto che una volta sulla bicicletta i compaesani si chiedevano di che marca fosse per resistere a lui e alle bottiglie di latte.
La spiegazione erano le ruote rinforzate tipiche dei piccoli motorini del tipo “cucciolo” degli anni ’30 del 1900 e il telaio con robuste saldature per la cassa delle bottiglie di latte.
Dalla vita dei campi dall’alba al tramonto a girellare tra consegne e paese con bottiglie di latte sembrò dapprima un divertimento.
La salute era migliorata e una fastidiosa malattia respiratoria era sparita quasi completamente.
La fonte di guadagno dalla vendita di latte con consegna porta a porta non risultò molto elevata.
Ci volle un po’ di tempo per capirlo. I primi tempi pensava di avere pochi clienti, e che dovesse incrementarli.
Anche con questi accorgimenti il denaro che entrava in casa non era sufficiente e i lavoratori a opra guadagnavano cifre più dignitose con molti meno problemi.
In certe famiglie aleggiava lo spettro della povertà e non riuscivano nemmeno a pagare il lattaio.
Percorreva i luoghi in cui era nato, ogni giorno, tra quelle campagne con erbe e fiori diversi in ogni stagione, i profumi, i colori, i silenzi del mattino. Tutto ciò dava ad Agenore un senso di completezza, come se si sentisse parte attiva in quella umile realtà contadina.
I ritiri del latte li effettuava la mattina presto, appena munto dalle vacche delle stalle vicine.
Appena ritirato provvedeva a portarlo a casa dove poi lo imbottigliava e ripartiva per le consegne.
Agenore negli anni ebbe modo di conoscere molte persone e farsi tanti amici.
Lui distribuiva quell’alimento buono e naturale e poi se crescevano bene i vitelli poteva far male alle persone ?
Sentiva di lavorare per far star bene i suoi compaesani.
I bambini dei Rossetti, la casa di contadini sulla collina appena fuori del paese gli correvano incontro con le bottiglie vuote per evitargli di far la salita con la bicicletta fino a casa. Certe volte gli portavano un po’ di uva secca o noci, ma lui era contento anche solo a vederli.
I loro sorrisi gli ripagavano la fatica di pedalare in ogni stagione.
Curvo sul velocipede nero antico con un berretto di feltro, e quando pioveva forte non era abbastanza.
Si era sparsa la terribile fama di far sparire i ciucci con la scusa che gli  era appena nato un vitellino e che per poter mungere la  mamma mucca e non far piangere il cucciolo doveva dargli il succhiotto,  la storiella  era un valido aiuto per le mamme che eliminavano il vizio senza prendersi grandi responsabilità.
La sua era una attività che oggi definiremmo «dal produttore al consumatore, a km zero»
Poteva continuare solo se si ingrandiva, se diventava un vero e proprio commercio, con bottega, contenitori del latte.
Negli anni a venire sarebbero sorte le latterie, con punti di raccolta di grosse quantità di latte e distribuzione diretta simile alla mescita dei vini.
Tutto bene fino alla registrazione del marchio Tetra Pak nel 1950, e il suo nome lo deve al fatto che fu per la prima volta un latte a forma di tetraedro; il primo tetra pak fu realizzato a Stoccolma nel 1953 su idea di un certo Erik Wallemberg. In Italia arrivò sul finire degli anni Sessanta.
Agenore terminò l’attività di lattaio oltre trenta anni prima del tetrapak che di fatto scrisse la fine dei lattai, anche quelli con tanto di negozio.
I più ostinati hanno continuato l’attività fino agli anni ’80, ma era una lotta persa in partenza.
Tutta la storia su latte è da riscrivere.
Se Agenore fosse qui, di sicuro strabuzzerebbe gli occhi al solo prendere atto degli studi sulla tossicità del latte, lo studio Americano di Colin Campbell  “The China Study” lo conferma, il latte e’ responsabile di molte patologie dell’uomo.
Di sicuro le mucche non subivano le cure e i trattamenti effettuati negli allevamenti intensivi che ci mostrano nei documentari di agricoltura e allevamento.
I latte , la buona fonte di calcio, tante proteine, belle immagini di un fluido bianchissimo rimane una favola delle agenzie pubblicitarie che ci disegnano un prodotto che nella pratica non esiste più. Viene ora definito un fluido malsano proveniente da animali malati trattati farmacologicamente, oltre ad essere naturalmente ricco di ormoni non utili alla natura umana.
Questo alimento, assieme all’uso di latticini, concorrono decisamente ai tumore della prostata, del seno, dei  fibromi vaginali, del cancro sul collo dell’utero, ecc.,  in quanto il latte e’ un “alimento ormonico “ricco di progesterone, estrogeno, ecc., nonché fortemente acidificante.
Certi studiosi hanno tentato di risolvere ogni problema con il latte di soia, ma è risultato un sforzo vano. La soia un secolo fa era un prodotto industriale e ora è coltivato in 72 milioni di acri; viene utilizzato per l’alimentazione animale, una parte per produrre grassi e olio vegetale. Di recente la soia è stata camuffata come cibo miracoloso per la new age vegana.
La soia non è solo priva di proteine complete, ma contiene composti che bloccano l’assorbimento di proteine, zinco e ferro. La giustificazione per introdurre soia nella alimentazione infantile e quelle di ridurre grassi. I grassi contengono molti nutrienti vitali per crescita e sviluppo normali.
Privare i bambini dei grassi è un crimine.
La soia non è mai servita come alimento fino alla scoperta delle tecniche di fermentazione.
I vegetariani che consumano tofu e caglio di fagioli di soia come sostituti della carne e dei prodotti caseari rischiano di provocare una grave carenza di minerali.
Fin dalla fine degli anni ’50 si sa che i sostituti del latte a base di soia contengono agenti che contrastano le funzioni della tiroide. I neonati a cui vengono dati preparati a base di soia sono particolarmente predisposti a sviluppare malattie della tiroide relative alle funzioni del sistema immunitario.
Fior di scienziati foraggiati da aziende plurimiliardarie si ergono a difensori di questa sostanza e dei suoi derivati.
Fra tante teorie mi piace segnalarne una significativa : il Dr. Claude Hughes, direttore del Women’s Health Center al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles dichiara: “La mia attenta opinione professionale è che ha più senso non esporre inutilmente il vostro neonato a questi preparati”, E aggiunge: “Mentre l’allattamento al seno è di gran lunga preferibile, le madri che non allattano al seno dovrebbero utilizzare preparati a base di latte e considerare quelli a base di soia come ultima risorsa.”
I derivati della soia poi sembrano essere i più pericolosi : gli isoflavoni, i fitoestrogeni, gli inibitori della proteasi, l’acido fitico, la lecitina di soia (o emaglutina), le nitrosammine e la misteriosa tossina della soia sono tutte sostanze dalle quali è meglio stare lontani.
Quando i nutrizionisti lanciano i loro appelli del tipo :
– mangiate questo che fa bene o non mangiate quest’altro perché fa male – sorge il dubbio che tante regole e consigli abbiano delle motivazioni di tipo economico più che scientifico.
Troppe volte il razionale e la rete del profitto riduzionista ha spinto i consumi verso prodotti che poco hanno a che vedere con la salute. Occorre ripensare la scienza della nutrizione.
Viene da chiedersi, pensando anche ad Agenore che tutto sommato fece bene a smettere di portare il latte nelle case e farsi assumere in una grande azienda manifatturiera, poco avrebbe potuto contro le nascenti lobbies del latte in polvere.
Ognuno la sua epoca, qual è la nostra ? Chi è l’Agenore di turno adesso ?

GOCCE GEMELLE


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GOCCE GEMELLE

Siamo come delle gocce, e prima di diventarlo davvero, magari c’è voluto anche tanto tempo.
Dall’unione di tante gocce si formano acque fresche pronte a dissetare i bisognosi, acque che lavano, purificano, irrigano, detergono.
Poi altre gocce si fanno prendere dalla fretta, spinte da eventi che non possono controllare, seguono canali impetuosi, provocando danni incalcolabili.
Mi sono trovato, goccia nel mio paese, a riunirmi ad altre gemelle e ancora altre venute da lontano, ed è stato bellissimo quando ho scoperto che certe gocce sono intelligenti, disponibili, ma soprattutto si forma empatia fra le stesse.
Un’introduzione forse fuori luogo per parlare di gemellaggio tra paesi, un’attività che può sembrare marginale, ma che per pochi giorni, nel mio paese ha impegnato molti amici.
Ci siamo trovati a ricambiare l’ospitalità del viaggio effettuato in Marzo, in Francia, nella città alsaziana di Guebwiler, e liberati da ogni dosatore e senza pensare a quanto avessimo ricevuto, ci siamo preoccupati di dare informazioni, indicazioni, guidarli alle eccellenze del nostro patrimonio artistico, le nostre attività produttive, la gastronomia, la cucina, l’economia.
Sono rimasti molto contenti, ce lo hanno confermato nell’assaggiare i prodotti della cucina toscana, o ammirare i paesaggi della campagna toscana, le ville, i castelli, le chiese, i musei, i prodotti dell’industria locale.
Molte sono state le domande, da queste è emerso il confronto, quando ci si confronta si possono apprezzare percorsi diversi dal nostro se conducono a soluzioni migliori.
Un componente del gruppo francese spesso si animava di un mantra :
– non esistono problemi, esistono soluzioni ! –
Abbiamo confrontato le caratteristiche e peculiarità dei due paesi come i ragazzi quando confrontano le collezioni di figurine e riescono a completarle con gli scambi.
Come se ognuno dei due paesi avesse dovuto ultimare un enorme puzzle senza conoscere il disegno definitivo.
Il fatto di conoscere ed apprezzare altre culture non ci deve distogliere dal dimenticare la nostra identità.
Su questa prima di tutto occorre riflettere.
Allora prima di pensare quello che ci divide (e mi riferisco a idee politiche, razziali, antipatie personali) occorre mettere in campo ciò che unisce.
Solo quando queste barriere saranno abbattute si potrà parlare, confrontarsi e allora le gocce potranno unirsi ancora e formare un’acqua dissetante e corroborante.

GOUTTES JUMEAUX

Nous sommes comme des gouttes, et avant de devenir vraiment, peut-être il faut trop de temps.
Beaucoup de gouttes sont formées par l’union de l’eau fraîche prête à étancher les nécessiteux, lavage à l’eau, nettoyer, rincer, nettoyer.
Ensuite, plus de gouttes se hâter, entraînée par des événements qu’ils ne peuvent contrôler, suivre les canaux impétueux, causant des dommages incalculables.
Je me suis retrouvé, goutte dans mon pays, de se réunir avec d’autres jumeaux, et d’autres encore viennent de loin, et il était beau quand je découvre que certaines gouttes sont intelligents, disponibles, mais surtout il forme l’empathie entre eux.
Présentation peut-être sur place pour parler de jumelage entre les pays, une activité qui peut sembler marginal, mais pour quelques jours, dans mon pays, a commis beaucoup d’amis.
Nous avons dû redonner l’hospitalité du voyage en France, q’on a fait dan le mois de Mars, dans la ville alsacienne Guebwiler, et se débarrasser de tous les doseurs, et sans penser à ce que nous avions reçu, nous étions inquiets de donner des informations, les directions, les guider à l’excellence de notre patrimoine artistique, nos activités de fabrication, la gastronomie, la cuisine, l’économie.
Ils étaient très heureux, nous avons confirmé dans l’échantillonnage des produits de la cuisine toscane, ou admirer les paysages de la campagne toscane, villas, châteaux, églises, musées, produits de l’industrie locale.
Il y avait beaucoup de questions, il est ressorti de ces comparaisons, lorsqu’ils sont confrontés, vous pouvez apprécier des chemins différents de notre si elles conduisent à de meilleures solutions.
Un membre du groupe français souvent animé par un mantra:
– Il n’y a pas de problèmes, il y a des solutions! –
Nous avons comparé les caractéristiques et les particularités des deux pays que les garçons lorsque l’on compare les collections de figurines et parviennent à les compléter avec les échanges.
Comme si chacun des deux pays avaient dû remplir un énorme puzzle sans savoir la conception finale.
Le fait de connaître et d’apprécier d’autres cultures ne doivent pas nous empêcher d’oublier notre identité.
Sur ce premier de tous, il doit refléter.
Donc, avant de penser à ce qui nous divise (et je me réfère à la politique, la race, aversions personnelles) doivent être mis en place ce qui unit.
Seulement lorsque ces obstacles seront démolis vous pouvez parler, discuter, et puis le gouttes à nouveau et se rejoignent pour former une trempe à l’eau et vivifiant.